A volte ritornano. Della serie: arridateme Cernilli, ossia gli uomini e l’antropizzazione

"Quanti sono i consumatori veramente consapevoli? Quanti leggono (comprano) guide, riviste specializzate, si collegano a siti e pagine web a tema. Pochi, davvero pochi, se pensiamo al mare di vino che viene venduto, ancora ed in barba alle statistiche dei consumi in calo, ogni giorno. I numeri che ci vengono propinati, ammesso che siano veri (particolare non da poco), non sono affatto significativi. Se devo vendere poche centinaia o qualche migliaio di bottiglie certi canali potrebbero (condizionale d'obbligo), pure, funzionare ma, assolutamente, non quando si parla di numeri più importanti. E' la massa dei consumatori, non i circoli di sommelier e aspiranti tali, nè tantomeno la wine-web-elite del nuovo millennio, a fare i numeri e a fare la differenza. Una massa indistinta e indecifrabile, in realtà molto ben poco diversa da quella di dieci anni fa. Con la differenza che l'ignoranza di 10 anni fa è stata sostituita da una dilagante onda di presunta conoscenza, altra forma, più pericolosa e subdola di ignoranza. […] La gente comune (esiste ancora?!) si riempie la bocca di paroloni di cui non conosce il significato, affronta argomenti che richiederebbero non dico anni ma un minimo di studio e approfondimento con la stessa, medesima superficialità e arroganza con cui discerne di politica, televisione, arte, musica ed altre, riconosciute o meno, forme di cultura."

Quello che vedete in foto è Fabio Cimmino, giornalista specializzato partenopeo.
Fabio, pur contando qualche collaborazione in passato con riviste cartacee, è stato uno dei primi, potremmo dire quasi un “fondatore”, giornalisti enogastronomici del web. Se non ricordo male, la sua esperienza ebbe inizio con Winereport, diretto allora da Franco Ziliani. Poi tutte le riviste on-line: Tigullio, Acquabuona, Lavinium. Ovviamente, non parlo solo di un giornalista, ma anche di un degustatore con “l’aurea” per dirla alla Porthos o “trascendentale” (o molto vicino a quella roba lì) stando alla definizione del Rizzari.
Ho conosciuto Fabio circa quattro anni fa e, dopo il nostro primo incontro, è diventato, inconsapevolmente, il mio primo e principale “maestro”.
Qualche giorno fa, Fabio ha scritto il suo (pare) ultimo post, che chiude il suo diario di viaggio.
Lo potete leggere qui, integralmente. Come al solito, la sua è un’analisi lucida, diretta, priva di condizionamenti, rassegnata nel tono: tono che troppo spesso è stato rassegnato negli ultimi tempi.

Mi hanno colpito di questo scritto un paio di considerazioni su temi su cui da un po’ di tempo a questa parte rifletto.

Già, cosa è cambiato da dieci anni a questa parte nel mondo del vino?

Poco per certi versi e credo sia abbastanza normale: in fin dei conti i cambiamenti culturali richiedono intervalli di tempo ampi a cui noi non siamo abituati.

Assistiamo a un cambio di scena, un cambio di personaggi, protagonisti e antagonisti invertirsi i ruoli, ma i meccanismi, ossia la trama, rimanere inalterati. In alcuni aspetti le cose sembrano peggiorate.

Badate bene, non me ne tiro fuori, anzi.
Da un po’ di tempo ho notato che (nel mio piccolo) faccio “tendenza”. Ovviamente non sono io a fare tendenza, è solo una battuta: mi spiego meglio.

L’aria che respiriamo è biologica, oggi. Un tavolo è biodinamico, oggi.

“avete presente i biodinamici dell'ultim'ora, artigiani convertiti al vino naturale, anfore, corni, calendari lunari e chi più ne ha più ne metta?”

Tutti i degustatori sono biodinamici, oggi.
Non c’è recensione in cui non m’imbatta attualmente che non abbia a che fare con vitigni autoctoni - di artigiani viticoltori – biologici naturali – piccole vigne dai vini eccezionali.
Recensioni pompose per ingraziarsi il produttore di turno o l’amico enologo che ti ha spedito le bottiglie. E non importa se la vigna è un fondo valle dove neanche le cipolle ci metteresti, perché l’imbonitore di turno, di vigne ne parla, ma raramente le vede.

Già, gli imbonitori. Si perché come già osservato da altri illustri opinionisti (confrontare Bonilli please) assistiamo alla frantumazione-frammentazione della critica (???) enologica in mille rivoli e rivoletti, piccoli ed inutili (tranne che all’imbonitore) torrenti spesso in secca. Superficiali, incompetenti. Tante piccole parrocchie.

Pseudo degustatori alzati al rango di opinionisti, pseudo degustatori incapaci in una degustazione alla cieca di distinguere un vino bana”n”izzato da un vino vero neanche se avvisati dal resto del panel.
Per non parlare dell’autoreferenzialismo dilagante. D’altronde se basta inventarsi un premio (L’Unique) per accreditare uno chef (Rocco Iannone) figurarsi se un premio di provincia lo si è vinto. Basta non dire che i partecipanti erano tre.

Un blogger che critica il web? Ben lungi. Per me è ancora ricchezza e opportunità, ma pensare che si possa prescindere da altri valori come qualità, etica e soprattutto professionalità è un altro paio di maniche.

Già, se prima erano le guide ad “accompagnare” le tendenze, oggi, in parte, è questo mare dove tutti si allineano alla tendenza biochic ed il conformismo è solo un abito dietro cui si nasconde una profonda ignoranza e una mancanza di conoscenza (tradotto in materia: molti pseudo degustatori vanno avanti a cola e poco più).

E se dico tutti, intendo i più. Già perché il problema non sono certo i quattro grafomani, ma il resto dei meccanismi e come questi influenzano coloro che modificano il territorio in cui viviamo.

I produttori ad esempio. I piccoli produttori che ti raccontano di quel pseudo degustatore x o y confessandoti che, “sì, non ci capisce un cazzo”, ma che per un pizzico di visibilità sarebbero disposti a raccontare la loro storia anche a Topo Gigio (tanto con questa crisi, anche Topo Gigio la da via facile, per pochi spiccioli), allo stesso modo di quei produttori che te ne dicevano di cotte e di crude sulle guide e sul collega “tal dei tali”, sulle 5 stellette o le tre mezzelune date a Caio, ma che poi mandavano puntualmente i campioni e intessevano “relazioni sociali”. Insopportabili.

Oggi anche i piccoli possono permettersi addetti stampa e Pr. Tanto tutto è in saldi.

Oggi un produttore con alle spalle appena quattro annate, si affida ad un paio di consulenti che masticano di vini quanto io mastico di materiale elettrico, e decide che il suo vino da uve “vattelappesca” costa 20 euro.
Ma come, ma se fino all’anno scorso costava la metà? A quel punto, che so, posso comprarmi un Taurasi, un nebbiolo valtellinese di Ar.pe.pe, un gran bel vino, insomma.
Eh no! È la risposta. Il vitigno vattelappesca, una riserva indiana di 3.000 bottiglie, non lo puoi paragonare che a se stesso, ed il suo valore è questo. Amen.
Be’, andate in pace, allora.

Oggi assisti a manifestazioni sui vini naturali di qualsiasi tipo, organizzate da chiunque, anche da chi, fino a ieri, teneva degustazioni di vini industriali di mega aziende.
In termini estetici, marketing coincide con maquillage che coincide con chirurgia estetica che (può) coincidere con (pseudo) informazione.

I meccanismi sono gli stessi, sostanzialmente, come vedete.

Si stava meglio quando si stava peggio?
Ecco, il succo del discorso è questo qua.
Io che ho avuto la fortuna di bere con tanti degustatori che le guide le fanno, posso testimoniare delle altissime capacità e della professionalità al di là dei meccanismi editoriali: d’altronde, nessuno ricorda che anche le guide sono prodotti commerciali.
Siamo proprio sicuri che oggi, quanto al web, sia così?

Perché essere blogger non vuol dire essere superficiali né incompetenti e neanche scrivere per se stessi, i propri affari o per l’amico di turno.

Perché vale sempre la stessa regola: i nostri padroni sono i lettori/consumatori.
E se ci ricordassimo di questo, forse riusciremmo ad arrivare ad un numero sempre maggiore di consumatori/lettori.

Allora mi guardo in giro e spero che Cimmino ci ripensi o spero di trovarne uno nuovo di Cimmino (roba difficile).

Ah, dimenticavo, quanto ai produttori: la distinzione non è tra piccolo e grande in termini numerici di bottiglie prodotte. Entrambi vendono, e ripeto vendono, vino.
E sinceramente, fare duemila bottiglie buone è più facile che farne due milioni.
La distinzione è nella cultura (se c’è) che vogliono veicolare attraverso le loro bottiglie.
La differenza la fanno gli uomini.
Ci sono i piccoli e i grandi.

posted by Mauro Erro @ 18:27,

1 Comments:

At 14 marzo 2010 alle ore 20:37, Anonymous Francesco Annibali said...

Straordinaio il post di Cimmino, e anche il tuo. Il problema fondante è il collasso, la "fusione" avvenuta negli ultimi 10 anni tra critica e appassionati. E' una precisa responsabilità di Slow Food, che ha generato una confusione pericolosissima (ricordi quel che dicevo nella mia intervista?). La soluzione attuale - siamo tutti degustatori! - è una cagata pazzesca. Ma in rete a contrastarla mi pare che siamo solo io tu cimmino e rizzari. Arrostiremo tutti per questo.
FA

 

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