Greco di Tufo 2008
lunedì 15 marzo 2010
Recentemente ho avuto modo di assaggiare e riassaggiare in varie sessioni, un certo numero di greco di Tufo 2008.
Alla fine l’annata sembra essere stata clemente, quasi giusta potremmo scrivere, equilibrata negli effetti prodotti se ben interpretata dal vignaiolo: ciò che ci voleva dopo la calda 2007 che ci aveva sostanzialmente dato vini pronti e con poca prospettiva d’invecchiamento.
I greco 2008 sembrano mostrare, invece, un sostanziale equilibrio, anche se leggermente spostato sul corpo e l’alcol in parecchi campioni, ma senza perdere l’equilibrio che nel Greco, più che nel Fiano, è di difficile soluzione con la parte acida/sapida a dar filo da torcere.
Alla fine l’annata sembra essere stata clemente, quasi giusta potremmo scrivere, equilibrata negli effetti prodotti se ben interpretata dal vignaiolo: ciò che ci voleva dopo la calda 2007 che ci aveva sostanzialmente dato vini pronti e con poca prospettiva d’invecchiamento.
I greco 2008 sembrano mostrare, invece, un sostanziale equilibrio, anche se leggermente spostato sul corpo e l’alcol in parecchi campioni, ma senza perdere l’equilibrio che nel Greco, più che nel Fiano, è di difficile soluzione con la parte acida/sapida a dar filo da torcere.
Tra quelli degustati (ne mancano ancora alcuni all’appello) voglio segnalarne i migliori, precisando che al momento è difficile individuare qual piega e sentiero prenderanno questi vini. Troppo giovani oggi perché possano emozionare.
Ancora troppi quelli con evidenti difetti, limiti tecnici o addirittura scontati: trame già viste, “solo”, dieci anni fa.
Cantine dell’Angelo, innanzitutto. Anche a me seccano i discorsi circa le primogeniture, ma è innegabile il mio affetto per questa piccola azienda di cui caso ha voluto sia stato il primo o tra i primi a parlare. Si conferma questo Greco. Per naturalezza espressiva.
L’interpretazione di Angelo Muto, il vignaiolo, predilige la freschezza. Qualche giorno d’anticipo di vendemmia ci regala un vino ancora giovane, succoso ma teso nel sorso con la sferzata acida nel finale da panico, e con un naso solare che ancora non si apre del tutto: una cascata di agrumi e note verdi (di quelle buone) soprattutto: sopra tanta roba che aspettiamo.
Poi Pietracupa dell’eclettico Sabino Loffredo. Lo so, nessuna scoperta in questo caso, parliamo di uno dei bianchisti di riferimento per i due vitigni a bacca bianca irpini, ma la sua versione base del Greco ci ha colpito per aderenza al vitigno, austerità e profondità al naso e per la bocca di vera bellezza. Orizzontale, ampia, elegante, innervata dall’acidità già fusa nell’insieme con l’alcol leggermente bizzoso, ma ben tenuto a bada.
Mi è piaciuto, ed è per me una sostanziale novità (che mi piaccia, che sia tra i primi della classe è indiscutibile), il “Vigna Cicogna” di Gabriella Ferrara che in questa annata sembra essere meno spinto del solito nella surmaturazione. Grande equilibrio, l’assoluta identità a se stesso (è molto difficile non riconoscerlo alla cieca) lo rendono sicuramente un sorso di riferimento.
Infine due ex-aequo: Centrella con il suo Selvetelle e l’azienda Antico Castello, con quest’ultima, che piazza il suo vino tra i primi della classifica alla sua prima apparizione (sul mio palato, intendo).
Sicuramente un’impostazione rustica contraddistingue entrambi i campioni che abbisognano di maggior tempo di ossigenazione nel calice per svelarsi pienamente. Li accomuna la matrice di frutta rossa percepibile al naso (vecchio marker dei greco Vadiaperti), così come l’estrema sapidità che chiude il sorso al palato.
Consiglio di segnarvi questi cinque e di seguirne le evoluzioni nel tempo.
Ancora troppi quelli con evidenti difetti, limiti tecnici o addirittura scontati: trame già viste, “solo”, dieci anni fa.
Cantine dell’Angelo, innanzitutto. Anche a me seccano i discorsi circa le primogeniture, ma è innegabile il mio affetto per questa piccola azienda di cui caso ha voluto sia stato il primo o tra i primi a parlare. Si conferma questo Greco. Per naturalezza espressiva.
L’interpretazione di Angelo Muto, il vignaiolo, predilige la freschezza. Qualche giorno d’anticipo di vendemmia ci regala un vino ancora giovane, succoso ma teso nel sorso con la sferzata acida nel finale da panico, e con un naso solare che ancora non si apre del tutto: una cascata di agrumi e note verdi (di quelle buone) soprattutto: sopra tanta roba che aspettiamo.
Poi Pietracupa dell’eclettico Sabino Loffredo. Lo so, nessuna scoperta in questo caso, parliamo di uno dei bianchisti di riferimento per i due vitigni a bacca bianca irpini, ma la sua versione base del Greco ci ha colpito per aderenza al vitigno, austerità e profondità al naso e per la bocca di vera bellezza. Orizzontale, ampia, elegante, innervata dall’acidità già fusa nell’insieme con l’alcol leggermente bizzoso, ma ben tenuto a bada.
Mi è piaciuto, ed è per me una sostanziale novità (che mi piaccia, che sia tra i primi della classe è indiscutibile), il “Vigna Cicogna” di Gabriella Ferrara che in questa annata sembra essere meno spinto del solito nella surmaturazione. Grande equilibrio, l’assoluta identità a se stesso (è molto difficile non riconoscerlo alla cieca) lo rendono sicuramente un sorso di riferimento.
Infine due ex-aequo: Centrella con il suo Selvetelle e l’azienda Antico Castello, con quest’ultima, che piazza il suo vino tra i primi della classifica alla sua prima apparizione (sul mio palato, intendo).
Sicuramente un’impostazione rustica contraddistingue entrambi i campioni che abbisognano di maggior tempo di ossigenazione nel calice per svelarsi pienamente. Li accomuna la matrice di frutta rossa percepibile al naso (vecchio marker dei greco Vadiaperti), così come l’estrema sapidità che chiude il sorso al palato.
Consiglio di segnarvi questi cinque e di seguirne le evoluzioni nel tempo.
posted by Mauro Erro @ 10:32,