Greco di Tufo 2007, Cantina dell'Angelo
venerdì 5 giugno 2009
ll 29 agosto a Castelvenere nell'ambito della Festa del Vino presieduta da Pasquale Carlo si terrà il primo festival meridionale delle Piccole Vigne curate da Luciano Pignataro e dal sottoscritto. Nasce così il Villaggio delle piccole vigne, una rubrica che vi parlerà dei protagonisti le cui storie potrete leggere qui o qui.
Sarà per i ricordi di quando ero ragazzino. C’erano le gite domenicali da amici di famiglia nel casertano, tra Caiazzo e San Leucio. Si andava in campagna “perché l’aria era buona” e i cibi genuini. C’erano prati verdi dove io e mio fratello davamo calci ad un pallone tra i cani, c’erano le vacche, le galline da rincorrere nel cortile cercando di afferrarle manco fossi Rocky Balboa. Poi c’era il vino. Casotti cadenti di mattoni che s’illuminavano appena con una candela. C’erano le botti, le damigiane e la faccia di mio padre e dei suoi amici che assaggiavano compiaciuti. Per me era il frutto proibito. A quell’epoca, almeno per me, non esistevano i grandi casermoni, le linee d’imbottigliamento, i grandi enologi o le barrique. Figuriamoci le polemiche sui lieviti. La lettura di Vino al vino di Mario Soldati arrivò più di dieci anni dopo. All’epoca non vi era nulla di concettuale nel fare vino e nel berlo. Essere contadini era una condizione occasionale tanto quanto il fatto che io fossi nato in città. Non era una scelta naif, non la voglia di un eccentrico imprenditore.
Ricordo le mie ansie felici del mattino della domenica prima di partire. La meraviglia di attraversare un ponte e vedere per la prima volta un fiume e il suo ampio letto, scollinare e vedere le distese di betulle o di querce a perdita d’occhio. Così immensamente alte, immensamente verdi, immensamente belle. Attraversare paesini fatti di case alte due o tre piani sparse qua e là e guardare ai balconi appesi grappoli di pomodori asciugarsi al sole. Io che ero abituato a vedere lenzuola, mutande e calzini appesi tra i vicoli.
In quegli stessi anni, i primi dei ruggenti ’90, Angelo Muto, terza generazione di viticoltori, reimpiantava le sue vigne di greco allevate a guyot a Tufo, in Irpinia, su portainnesti 420/A.
Ecco, le otto del mattino del 2 giugno, festa nazionale che oltre le parate militari pare non dica nient’altro. Buona per fare un ponte di festa per gli italiani e per me, andare a Tufo in giro per vigne. Ma come nel finale più scontato di un pessimo romanzo rosa, mi affaccio alla finestra di casa e i Picentini sono nascosti dalla nebbia, e che il bosco avanti casa non sia stato rapito come in una favola lo evinco dai tronchi che spuntano sotto la coltre bianca. Un temporale di quelli memorabili.
Avevo incontrato Angelo qualche giorno prima, un massiccio metro e novanta che finisce in una testa pelata e abbronzata. Un filo di voce appena afferrabile, ogni parola una rivendicazione. Cinque ettari di vigna coltivati da sempre, gran parte delle uve ancora conferite, poi dal 2006 lo sfizio delle 4mila bottiglia prodotte, curate da lui nella vigna a Campanaro e allevate in cantina dal ventiseienne Luigi Sarno, giovane enologo cresciuto alla corte di Moio, titolare di un’altra piccola cantina irpina.
Mi rimane questo calice che solletica i ricordi. Inaspettatamente buono nonostante sia nato nella calda annata che fu la 2007, con l’alcol che viaggia ad appena 12 gradi e mezzo. Oro nel calice, profuma di mineralità pura, ricco di zolfo senza rinunciare ad un sussurro e niente più di frutta, arricchito da echi balsamici, sbuffi di erbe aromatiche e tanto pepe bianco. Il sorso è interminabile. Tanto pieno e corposo appena lo si saggia quanto sapido nel suo allungo finale. Per chi vuole succhiare tutta l’essenza del territorio. Da bere arricchendo un po’ di pesce fresco su una terrazza in riva al mare. Se non piovesse. Non rimane, allora, che rileggere il mio Mario Soldati: E perciò continuo a ripetere quanto ho già detto: non faccio questo viaggio per poter poi descrivere un vino ai miei lettori; ma solo per invitarli a viaggiare a loro volta, e a scoprire così altri vini, tutti e sempre diversi, perché il gusto di un vino significa qualcosa solo in rapporto alla persona che lo beve, e al luogo e all’ora e alle condizioni in cui lo beve.
Ah, dimenticavo, 10 euro o giù di lì in una buona enoteca.
Più low cost di così?
Ricordo le mie ansie felici del mattino della domenica prima di partire. La meraviglia di attraversare un ponte e vedere per la prima volta un fiume e il suo ampio letto, scollinare e vedere le distese di betulle o di querce a perdita d’occhio. Così immensamente alte, immensamente verdi, immensamente belle. Attraversare paesini fatti di case alte due o tre piani sparse qua e là e guardare ai balconi appesi grappoli di pomodori asciugarsi al sole. Io che ero abituato a vedere lenzuola, mutande e calzini appesi tra i vicoli.
In quegli stessi anni, i primi dei ruggenti ’90, Angelo Muto, terza generazione di viticoltori, reimpiantava le sue vigne di greco allevate a guyot a Tufo, in Irpinia, su portainnesti 420/A.
Ecco, le otto del mattino del 2 giugno, festa nazionale che oltre le parate militari pare non dica nient’altro. Buona per fare un ponte di festa per gli italiani e per me, andare a Tufo in giro per vigne. Ma come nel finale più scontato di un pessimo romanzo rosa, mi affaccio alla finestra di casa e i Picentini sono nascosti dalla nebbia, e che il bosco avanti casa non sia stato rapito come in una favola lo evinco dai tronchi che spuntano sotto la coltre bianca. Un temporale di quelli memorabili.
Avevo incontrato Angelo qualche giorno prima, un massiccio metro e novanta che finisce in una testa pelata e abbronzata. Un filo di voce appena afferrabile, ogni parola una rivendicazione. Cinque ettari di vigna coltivati da sempre, gran parte delle uve ancora conferite, poi dal 2006 lo sfizio delle 4mila bottiglia prodotte, curate da lui nella vigna a Campanaro e allevate in cantina dal ventiseienne Luigi Sarno, giovane enologo cresciuto alla corte di Moio, titolare di un’altra piccola cantina irpina.
Mi rimane questo calice che solletica i ricordi. Inaspettatamente buono nonostante sia nato nella calda annata che fu la 2007, con l’alcol che viaggia ad appena 12 gradi e mezzo. Oro nel calice, profuma di mineralità pura, ricco di zolfo senza rinunciare ad un sussurro e niente più di frutta, arricchito da echi balsamici, sbuffi di erbe aromatiche e tanto pepe bianco. Il sorso è interminabile. Tanto pieno e corposo appena lo si saggia quanto sapido nel suo allungo finale. Per chi vuole succhiare tutta l’essenza del territorio. Da bere arricchendo un po’ di pesce fresco su una terrazza in riva al mare. Se non piovesse. Non rimane, allora, che rileggere il mio Mario Soldati: E perciò continuo a ripetere quanto ho già detto: non faccio questo viaggio per poter poi descrivere un vino ai miei lettori; ma solo per invitarli a viaggiare a loro volta, e a scoprire così altri vini, tutti e sempre diversi, perché il gusto di un vino significa qualcosa solo in rapporto alla persona che lo beve, e al luogo e all’ora e alle condizioni in cui lo beve.
Ah, dimenticavo, 10 euro o giù di lì in una buona enoteca.
Più low cost di così?
Sede a Tufo, via Santa Lucia 13. Tel. 0825.998073.
Ettari: 5 di proprietà.
Bottiglie prodotte: 4000.
Vitigno: greco di Tufo
posted by Mauro Erro @ 08:33,