Tempo di Anteprime: riflessioni sul tema
martedì 17 febbraio 2009
Tempo di anteprime. Vorrei rendervi partecipi di un interessantissimo dibattito che si è sviluppato qualche tempo fa sul forum della rivista Porthos di Sandro Sangiorgi. L'argomento quanto mai attuale, considerato il proliferare di manifestazioni "en primeur", riguarda la validità che possano avere giudizi su campioni in anteprima, siano essi di botte o di bottiglia, riferiti a quei vini che sono solitamente destinati a lungo affinamento.
Vorrei partire con le considerazioni di un grandissimo personaggio, esperto di Borgogna, che corrisponde al nome di Giancarlo Marino, avvocato romano col pallino del Pinot Noir: «Può capitare che un vino non sia nella forma migliore appena imbottigliato ma richieda del tempo, a volte anni, per manifestarsi nel suo vero essere. Così come può capitare che un vino sia leggibile in una prima fase per poi chiudersi o comunque passare delle fasi meno felici, per poi ritornare con il tempo a mostrarsi in forma migliore. Se l'assunto è vero, e io credo sia vero, dovremmo tutti essere più cauti a dare giudizi definitivi. Invece vediamo giudizi sui vini di bordeaux da parte del critico xxxxx o yyyyy appena sei mesi dopo la vendemmia, ma anche sui vini della Borgogna, addirittura prima della conclusione della fermentazione malolattica. Di ciò potremmo tranquillamente fregarcene, e personalmente me ne disinteresso, ma a volte siamo noi stessi a commettere errori simili. Valutare e capire un vino ai suoi primi vagiti, se non addirittura nel grembo materno di botti più o meno grandi, è cosa ardua e richiederebbe, comunque, una conoscenza sconfinata del vino e del produttore. Sotto altro profilo, la tendenza generalizzata a giudizi precoci potrebbe essere, o sbaglio?, uno dei motivi per cui in tutto il mondo si tende a commercializzare vini che siano fin da subito pronti a mostrarsi. Dopo 15 anni di assaggi di botte ho imparato ad essere cauto; del resto gli errori di giudizio stanno lì a ricordarmi che alcuni vini hanno solo bisogno di tempo e che, spesso, quelli che già si esprimono in bella scrittura alla loro uscita potrebbero rilevarsi di ben diversa fattura. Questo per tacere delle, ovvie direi, mutazioni del nostro percorso enoico, della nostra capacità introspettiva."
Illuminante al riguardo l'intervento del Grillo, nickname sotto il quale si cela un collaboratore della stessa rivista Porthos, un eccezionale «wine-scout»: «È il grosso limite della critica, è il limite dettato dal mercato, il limite delle guide. Il vino viene giudicato troppo presto, il giudizio si basa su come il vino potrà essere, sempre con un ottica da "future", un'ottica previsionale. Da qui le grandi delusioni delle degustazioni a post. Questa critica en primeur io la vedo un po' come quei genitori che agli amici raccontano di come il loro figlio di sette anni diventerà un grande avvocato o un medico rispettato. Per carità un amico indiano mi disse un giorno che i bei frutti in una pianta si vedono da subito .... ma non esageriamo".
Il Suonatore Jones si scaglia contro la critica giustizialista: "Un vino (ma anche e sopratutto una persona) dovrebbe essere più che giudicato capito e per capire è necessario sapere ascoltare ed avere tempo".
Andrea dà il suo contributo e chiosa: "Ma perché poi dovremmo dare tutti sti giudizi? A parte il «mi piace»? Anche andare ad assaggiare i vini in cantina, non pronti, che senso ha, se non per vedere se già così mi piace o no? senza voler dare un giudizio di altro tipo. Al massimo, se c'è un po' di esperienza, se ne valuta la potenzialità ad esprimersi nel tempo. Io è già da un pezzo che ho smesso di chiedermi, e di annunciare al popolo via web, se un vino sia migliore di un altro, o sia in assoluto grande x o grande y. Al limite racconto cosa mi ha dato e perché mi piace o no...."
Dudley sottolinea il punto di vista dell'eno-appassionato: "la critica valutando i vini en primeur fa proprio il lavoro che le aziende che vendono en primeur vogliono che faccia" mentre "...nell'assaggio degli enoappassionati interviene anche il grado di esperienza nell'assaggio della singola tipologia ed il grado di conoscenza del singolo produttore". "Ritorna ancora la lentezza, anche nel vino. Forse ci vogliono anche i soldi che molti - anche fra gli enoappassionati - non sono disposti a investire, per quello che non conoscono. Forse, al di là delle tasche, alcuni vini non sono per tutti. E lo dico includendo me stesso fra gli ignoranti non meritevoli".
Cheers puntualizza e difende il ruolo di certa stampa: "La critica, tutta, può essere vista come sostegno esterno alle vendite dei produttori. Quello che derime fra critica buona e cattiva non è la funzionalità agli interessi della produzione, intenzionale o accidentale che sia, tanto è inevitabile. Quello che derime è la serietà del giudizio e la capacità di offrire buona informazione riguardo alle reali qualità del vino, omissioni comprese, al proprio pubblico. Non c'è solo la scorciatoia economica, anche perché il problema del giudizio precoce rimane anche se uno le bottiglie se le compra e paga o se l'assaggio è fatto in condizioni ideali, come accade spesso durante le visite dai produttori, ad esempio. C'è anche, e forse soprattutto, la voglia di poter dire la propria, di partecipare al dialogo, di prendere posizione su quanto scritto dal grande critico. Quindi bisogna essere pronti sulla pagina calda di stampa o meglio ancora «uscire» in anticipo. È una delle tante manifestazioni della società dello spettacolo, insomma"...ed insomma, lo dico pure io. Le problematiche e le dinamiche connesse agli assaggi en primeur sono molto più complesse, forse troppo, di quanto si possa immaginare. Io sono un ottimista e sono sempre per la buona fede di chi scrive almeno fino a prova contraria. I lettori, gli appassionati, devono, però, sapere che tutto va letto e preso con la giusta cautela e la doverosa prudenza che non è mai, a maggior ragione nel caso degli assaggi en primeur, troppa. Io, indipendentemente da ogni considerazione sopra esposta, rimango dell'idea che qualunque giudizio, sia esso en primeur sia esso espresso su un qualunque altro vino, debba passare attraverso la fondamentale conoscenza di quello che io chiamo «filtro». Il filtro che ciascun degustatore rappresenta, inevitabilmente, perchè per quanto bravo egli sia nello sforzarsi di essere oggettivo rimane pur sempre un inevitabile componente soggettiva. Ogni giudizio deve essere, in questo senso, sempre letto attraverso - anche, se non soprattutto - la conoscenza (mi riferisco, è bene rimarcarlo, a quella virtuale, non di certo ad una frequentazione personale che non dico è impossibile ma è quasi sempre impraticabile n.d.a.) che si ha e si può ricavare dei gusti e delle preferenze di chi scrive semplicemente leggendo in maniera analitica e sistematica.
Fabio Cimmino, tratto dal sito Enodelirio
Vorrei partire con le considerazioni di un grandissimo personaggio, esperto di Borgogna, che corrisponde al nome di Giancarlo Marino, avvocato romano col pallino del Pinot Noir: «Può capitare che un vino non sia nella forma migliore appena imbottigliato ma richieda del tempo, a volte anni, per manifestarsi nel suo vero essere. Così come può capitare che un vino sia leggibile in una prima fase per poi chiudersi o comunque passare delle fasi meno felici, per poi ritornare con il tempo a mostrarsi in forma migliore. Se l'assunto è vero, e io credo sia vero, dovremmo tutti essere più cauti a dare giudizi definitivi. Invece vediamo giudizi sui vini di bordeaux da parte del critico xxxxx o yyyyy appena sei mesi dopo la vendemmia, ma anche sui vini della Borgogna, addirittura prima della conclusione della fermentazione malolattica. Di ciò potremmo tranquillamente fregarcene, e personalmente me ne disinteresso, ma a volte siamo noi stessi a commettere errori simili. Valutare e capire un vino ai suoi primi vagiti, se non addirittura nel grembo materno di botti più o meno grandi, è cosa ardua e richiederebbe, comunque, una conoscenza sconfinata del vino e del produttore. Sotto altro profilo, la tendenza generalizzata a giudizi precoci potrebbe essere, o sbaglio?, uno dei motivi per cui in tutto il mondo si tende a commercializzare vini che siano fin da subito pronti a mostrarsi. Dopo 15 anni di assaggi di botte ho imparato ad essere cauto; del resto gli errori di giudizio stanno lì a ricordarmi che alcuni vini hanno solo bisogno di tempo e che, spesso, quelli che già si esprimono in bella scrittura alla loro uscita potrebbero rilevarsi di ben diversa fattura. Questo per tacere delle, ovvie direi, mutazioni del nostro percorso enoico, della nostra capacità introspettiva."
Illuminante al riguardo l'intervento del Grillo, nickname sotto il quale si cela un collaboratore della stessa rivista Porthos, un eccezionale «wine-scout»: «È il grosso limite della critica, è il limite dettato dal mercato, il limite delle guide. Il vino viene giudicato troppo presto, il giudizio si basa su come il vino potrà essere, sempre con un ottica da "future", un'ottica previsionale. Da qui le grandi delusioni delle degustazioni a post. Questa critica en primeur io la vedo un po' come quei genitori che agli amici raccontano di come il loro figlio di sette anni diventerà un grande avvocato o un medico rispettato. Per carità un amico indiano mi disse un giorno che i bei frutti in una pianta si vedono da subito .... ma non esageriamo".
Il Suonatore Jones si scaglia contro la critica giustizialista: "Un vino (ma anche e sopratutto una persona) dovrebbe essere più che giudicato capito e per capire è necessario sapere ascoltare ed avere tempo".
Andrea dà il suo contributo e chiosa: "Ma perché poi dovremmo dare tutti sti giudizi? A parte il «mi piace»? Anche andare ad assaggiare i vini in cantina, non pronti, che senso ha, se non per vedere se già così mi piace o no? senza voler dare un giudizio di altro tipo. Al massimo, se c'è un po' di esperienza, se ne valuta la potenzialità ad esprimersi nel tempo. Io è già da un pezzo che ho smesso di chiedermi, e di annunciare al popolo via web, se un vino sia migliore di un altro, o sia in assoluto grande x o grande y. Al limite racconto cosa mi ha dato e perché mi piace o no...."
Dudley sottolinea il punto di vista dell'eno-appassionato: "la critica valutando i vini en primeur fa proprio il lavoro che le aziende che vendono en primeur vogliono che faccia" mentre "...nell'assaggio degli enoappassionati interviene anche il grado di esperienza nell'assaggio della singola tipologia ed il grado di conoscenza del singolo produttore". "Ritorna ancora la lentezza, anche nel vino. Forse ci vogliono anche i soldi che molti - anche fra gli enoappassionati - non sono disposti a investire, per quello che non conoscono. Forse, al di là delle tasche, alcuni vini non sono per tutti. E lo dico includendo me stesso fra gli ignoranti non meritevoli".
Cheers puntualizza e difende il ruolo di certa stampa: "La critica, tutta, può essere vista come sostegno esterno alle vendite dei produttori. Quello che derime fra critica buona e cattiva non è la funzionalità agli interessi della produzione, intenzionale o accidentale che sia, tanto è inevitabile. Quello che derime è la serietà del giudizio e la capacità di offrire buona informazione riguardo alle reali qualità del vino, omissioni comprese, al proprio pubblico. Non c'è solo la scorciatoia economica, anche perché il problema del giudizio precoce rimane anche se uno le bottiglie se le compra e paga o se l'assaggio è fatto in condizioni ideali, come accade spesso durante le visite dai produttori, ad esempio. C'è anche, e forse soprattutto, la voglia di poter dire la propria, di partecipare al dialogo, di prendere posizione su quanto scritto dal grande critico. Quindi bisogna essere pronti sulla pagina calda di stampa o meglio ancora «uscire» in anticipo. È una delle tante manifestazioni della società dello spettacolo, insomma"...ed insomma, lo dico pure io. Le problematiche e le dinamiche connesse agli assaggi en primeur sono molto più complesse, forse troppo, di quanto si possa immaginare. Io sono un ottimista e sono sempre per la buona fede di chi scrive almeno fino a prova contraria. I lettori, gli appassionati, devono, però, sapere che tutto va letto e preso con la giusta cautela e la doverosa prudenza che non è mai, a maggior ragione nel caso degli assaggi en primeur, troppa. Io, indipendentemente da ogni considerazione sopra esposta, rimango dell'idea che qualunque giudizio, sia esso en primeur sia esso espresso su un qualunque altro vino, debba passare attraverso la fondamentale conoscenza di quello che io chiamo «filtro». Il filtro che ciascun degustatore rappresenta, inevitabilmente, perchè per quanto bravo egli sia nello sforzarsi di essere oggettivo rimane pur sempre un inevitabile componente soggettiva. Ogni giudizio deve essere, in questo senso, sempre letto attraverso - anche, se non soprattutto - la conoscenza (mi riferisco, è bene rimarcarlo, a quella virtuale, non di certo ad una frequentazione personale che non dico è impossibile ma è quasi sempre impraticabile n.d.a.) che si ha e si può ricavare dei gusti e delle preferenze di chi scrive semplicemente leggendo in maniera analitica e sistematica.
Fabio Cimmino, tratto dal sito Enodelirio
posted by Mauro Erro @ 11:36,