Aprite le porte della percezione: De rosatibus
mercoledì 15 ottobre 2008
I tempi cambiano, grazie a Dio, ed il consumo dei rosati, vini che fino a poco tempo fa i consumatori bistrattavano definendoli “né carne, né pesce”, aumenta incuriosendo sempre di più le persone. Oggi sul mercato è possibile anche trovare vini rosati di diversa connotazione, su cui alcuni produttori si divertono a giocare andando oltre il tutto frutto immediato e appiattente.
Come ad esempio il rosato di Cantina Giardino da Coda di volpe rossa, annata 2006, per me “rosato dell’anno” (a mio insindacabile giudizio) prodotto da vigne vecchie di 60 anni piantate su suoli di flysch calcarei, argillosi, arenari ad una altitudine di 450 metri sul livello del mare. Macerato sulle bucce per due giorni, fermentato con lieviti indigeni in barrique esauste e affinato sui lieviti fini per almeno sei mesi mi ha salutato brillante di un colore che si collocava tra il rosato cerasuolo e il rubino scarico. Al naso frutto di ciliegia di disarmante “croccantezza” accompagnato da rimandi “fragolosi” e sfumature speziate, al palato un’acidità ed una mineralità che facevano da contraltare suggerendomi di correre subito al tavolo per accompagnarlo degnamente con un lauto pasto.
Un lauto pasto a base di risotto di zucca e taleggio, invece, ha accompagnato meravigliosamente il rosato “pista e mutta” targato 1999 - sì avete letto bene, una vendemmia di nove anni fa - di Massimiliano Calabretta, patron dell’omonima azienda etnea. Per me che amo i rosati di quel pazzo spagnolo di Lopez de Heredia non è una novità bere rosati d’antan: ma in questo caso, a maggior ragione, vi consiglio di cercarvelo perché merita l’assaggio (la bevuta). Da nerello mascalese e un saldo di cappuccio, da vigne di 70 anni a piede franco piantate ad un’altitudine di 750 metri slm, al naso racconta ciliegia, frutta candita e cera d’api, al palato, con ottima corrispondenza e bella freschezza acida, si lascia bere che è un piacere.
Come ad esempio il rosato di Cantina Giardino da Coda di volpe rossa, annata 2006, per me “rosato dell’anno” (a mio insindacabile giudizio) prodotto da vigne vecchie di 60 anni piantate su suoli di flysch calcarei, argillosi, arenari ad una altitudine di 450 metri sul livello del mare. Macerato sulle bucce per due giorni, fermentato con lieviti indigeni in barrique esauste e affinato sui lieviti fini per almeno sei mesi mi ha salutato brillante di un colore che si collocava tra il rosato cerasuolo e il rubino scarico. Al naso frutto di ciliegia di disarmante “croccantezza” accompagnato da rimandi “fragolosi” e sfumature speziate, al palato un’acidità ed una mineralità che facevano da contraltare suggerendomi di correre subito al tavolo per accompagnarlo degnamente con un lauto pasto.
Un lauto pasto a base di risotto di zucca e taleggio, invece, ha accompagnato meravigliosamente il rosato “pista e mutta” targato 1999 - sì avete letto bene, una vendemmia di nove anni fa - di Massimiliano Calabretta, patron dell’omonima azienda etnea. Per me che amo i rosati di quel pazzo spagnolo di Lopez de Heredia non è una novità bere rosati d’antan: ma in questo caso, a maggior ragione, vi consiglio di cercarvelo perché merita l’assaggio (la bevuta). Da nerello mascalese e un saldo di cappuccio, da vigne di 70 anni a piede franco piantate ad un’altitudine di 750 metri slm, al naso racconta ciliegia, frutta candita e cera d’api, al palato, con ottima corrispondenza e bella freschezza acida, si lascia bere che è un piacere.
Nota: dopo aver svuotato una delle due bottiglie (o entrambe) ascoltate Steve Wonder, cliccate sull'immagine, e divertitevi.
posted by Mauro Erro @ 12:28,
1 Comments:
- At 15 ottobre 2008 alle ore 16:44, said...
-
mancano oltre due mesi alla fine dell'anno! Non avrai mica finito con gli assaggi ;)
voc