Di una bevuta, di un vino
venerdì 12 settembre 2008
Oggi, dopo tanti anni, le cose sono cambiate, come cambiano a tutti coloro che continuano curiosi a chiedersi di vino bevendolo. Al piacere edonistico si affianca l’aspetto culturale e la maniacale curiosità condita dalla voglia, sempre presente nell’essere umano, di definire le cose anche quando sono tra le più sfuggenti. Definiamo l’Amore e Dio, figurarsi il vino. Acida tartarica, malica, citrina, pirazine, tannini ellagici, solforosa, trattamenti fittosanitari, si potrebbe continuare a lungo, molto a lungo. Ogni sensazione riportarla alla causa che l’ha prodotta. E non sempre è così semplice: capita, spesso, di non capirci un “h” di un vino. Ciò provoca uno stato d’insoddisfazione non da poco. Soprattutto per chi del vino ha fatto anche la propria professione. Quando vedo, allora, un giovane bevitore e la sua soddisfazione perché ha avvertito il profumo di una mora in un calice, mi capita d’invidiarlo.
Ieri sera sono stato a cena con amici, fini bevitori, di quelli, tanto per capirci, che in circolazione se ne trovano davvero pochi. Con insistenza vado cercando queste situazioni in cui io mi concedo il lusso di potere stare in silenzio. Mi godo il vino e lascio che siano gli altri a raccontarmelo. Quella che chiamo degustazione condivisa, il tentativo di giungere ad una verità più alta e partecipata. Con due amici, da quest’idea ci ho creato anche un progetto. Il tutto in un clima di convivialità scherzosa ove si parla di vino senza alcuna sacralità, così come si parlerebbe di donne e calcio. Con fede, passione e rispetto. Ad un certo punto della serata, ecco un vino, servito alla cieca.
Indovinate cos’è?
A me il compito di scartarlo dopo che ognuno aveva detto la sua. Rimango per una frazione di secondo a fissare quell’etichetta inebetito mentre gli altri insistentemente mi chiedono cosa sia. Un naso fresco e fragrante, balsamico, aghi di pino e frutta. Al palato un’acidità assassina. Blaterle. E che caspita è un Blaterle? Ho avuto occasione di berlo un’unica volta, quello di Mayr, chissà quanti anni fa e mentre gli altri chiedevano inisistentemente mi sono passati otto anni di bevute davanti gli occhi mentre acquisivo consapevolezza di una realtà cristallina.
La verità sapete qual è? L’unica cosa che valga la pena fare con il vino
è condividerlo.
Nota: Blaterle 2006 Eberlehof
posted by Mauro Erro @ 15:30,
3 Comments:
- At 12 settembre 2008 alle ore 21:34, claudioT said...
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Blaterle che dire, l'ho bevuto per la prima volta ed è stata una bella scoperta.
Ti dirò, anch'io ricordo con emozione le prime volte che cercavo di riconoscere e catalogare sentori nuovi in un vino o a scoprire quella sapidità che oggi mi appare di facile comprensione, ma come è "paradisiaco" sedersi in 6/7 intorno ad un tavolo e discernere di vino, ma anche di cucina, senza preconcetti, liberi, col cuore aperto, con semplicità e senza la necessità di stupire.
Ho bevuto poc'anzi il pinot nero di hoffstatter senza annata di ieri sera, nè era avanzato solo un bicchiere, ma che bicchiere...
Mi sono sfiziato ad abbinarlo ad un raviolo di farro e grano duro ripieno di ricotta e bottarga di muggine e con una crema di cavolo e della cipolla rossa appena scottata in olio (non scherzo è piu facile a farlo che a dirlo) e sono ritornato per un attimo a ventiquattro ore fà.
Come dice qualcuno Buona Vita! - At 12 settembre 2008 alle ore 22:25, said...
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Ohì! 'O pinot te l'hé pigliato tu!!!! Mannaggia a bubbà!!!
Je m'aggio pigliato 'o bardolino che pure era sfiziuso.
voc - At 17 settembre 2008 alle ore 13:44, il maiale ubriaco said...
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sottoscrivo!
ste-