Elucubrazioni vinose
mercoledì 28 maggio 2008
Sarà banale dirlo, ma un contadino non necessariamente fa il vino più buono del mondo, così come la grande azienda non necessariamente fa il peggiore. Ma ciò ha veramente importanza? No! Un degustatore valuta (o almeno dovrebbe) ciò che nel bicchiere gli si presenta, e racconta ( o almeno dovrebbe) le impressioni che bevendo ha tratto. Le informazioni riguardanti il vino, l’azienda, gli strumenti e le pratiche di cantina adottate non devono inficiare le valutazioni che un bevitore esprime: un degustatore deve solo prenderne atto. Così come i discorsi riguardanti il mercato, il numero di bottiglie vendute o discorsi riguardanti la piacevolezza. Se devo valutare un vino perché dovrebbe interessarmi quante bottiglie vende o se quel vino piace o meno? E poi, piace a chi? Il vino deve essere buono? Si. Nella sua semplicità questa affermazione appare quasi banale. Ma lo è veramente? La piacevolezza è un discorso assai spinoso e, almeno per quanto mi riguarda, poco interessante: discernere e discutere di gusto, una valutazione prettamente estetica, ha poco senso.
La Coca Cola è buona o meno? Così come far diventare un vino piacevole (per chi non si è ancora capito, immagino che un vino sarà piacevole per alcuni, e meno per altri) espressione di un territorio è altrettanto insensato. A chi verrebbe mai di chiedersi se la Coca Cola è una bevanda di territorio? Ho difficoltà ad immaginare orde di appassionati iscriversi ai corsi per diventare degustatore di bevanda analcolica.
Molti ad esempio confondono il discorso del territorio o terroir per dirla alla francese con una sorta di idealtipo preesistente dai tempi degli antichi romani, contrapponendo a quest’idea, una di natura mutevole, dinamica, legata al gusto e al mercato. Nulla di più sbagliato. L’esistenza o meno di una tradizione non ha nulla a che vedere con il discorso di territorio o terroir, ma tutt’al più è inerente ad un discorso che riguarda le pratiche di trasformazione dell’uva per farla diventare vino adoperate dall’uomo. Il terroir, e per terroir si intende l’insieme di fattori pedoclimatici, quindi per esser più chiaro, le particolari condizioni climatiche di una zona e la composizione dei suoi terreni, non esiste e non può esistere in funzione del mercato. Esiste o meno. Per fare un esempio, non è l’utilizzo di botti grandi o barrique, né tantomeno l’utilizzo di lieviti indigeni o selezionati a rendere il Barolo un vino di territorio, ma è il territorio in se e per sé che rende il Barolo un vino diverso da qualsiasi altro nebbiolo piantato altrove. Il discorso di territorio implica il concetto di unicità. L’esistenza o meno di una tradizione precedente è un discorso fuorviante, anche perché nulla vieta di scoprire nuovi territori ove la vite non è mai esistita. Allo stesso modo, non sono i volumi di vendita a stabilire l'esistenza del territorio. Tanto per fare un esempio di un vino di cui ultimamente ho letto spesso e su cui si apre spesso un dibattito fuorviante è il Terra di Lavoro di Fontana Galardi, che nella versione 2005, ha appena conquistato la nomination per il miglior vino rosso degli Oscar del Vino di Bibenda-Ais Roma: che il Terra di Lavoro possa essere un vino piacevole e che sia un vino acclamato da buona parte della critica e premiato dal mercato dovrebbero essere fatti di cui prendere atto. Fatti non opinabili. È opinabile che in virtù di questo, questo vino divenga un vino di territorio. Se nel bicchiere non avverto caratteristiche organolettiche riconducibili al concetto di territorio, quel vino piacevole o meno (non sono io a doverlo stabilire) diviene l’esercizio stilistico di una capace enologo replicabile in ogni dove.
D’altra parte rimango talvolta spiazzato da certe affermazioni. La settimana scorsa ho avuto modo di introdurre una serata dell’A.I.S. Napoli sui vini anfora. Durante la degustazione uno dei sommelier affermava, non so quanto consapevolmente, di una presunta particolarità di uno dei vini. Cavalcando discorsi filosofico-spirituali o sotto il vessillo della naturalezza (presunta) un degustatore non può e non deve far passare ciò che è un palese difetto per particolarità. Un difetto è un difetto, punto. Per non parlare dei lieviti selezionati. I lieviti selezionati rappresentano un problema laddove alterano palesemente le caratteristiche varietali di un vitigno. L’altro giorno durante la manifestazione Vitigno Italia, un rappresentante commerciale di un’azienda campana mi chiedeva di saggiare un vino e dirgli cosa ne pensavo. Si trattava di un uvaggio di Fiano e Greco in pari percentuali. Davanti a questi vini parlare di tipicità, varietali e quant’altro può essere assai complicato, ma se al naso avverto l’impianto aromatico di una moscato, e al palato le note vegetali che posso ricondurre ad un Sauvignon blanc non posso esimermi dal chiedere come l’enologo sia riuscito nell’impresa di far diventare fiano e greco due vitigni aromatici.
In conclusione (per modo di dire, il discorso è fin troppo ampio) ad un degustatore e comunicatore, onestà a parte, bisognerebbe chiedere uno spirito critico che lo porti ad abbandonare qualsiasi convinzione già acquisita ed un approfondimento, una curiosità maggiore, uno studio tecnico-scientifico costante, evitando prese di posizione o certezze assolute perché è di vino che si parla, e bisogna ricordarsi come scritto da Fabio Rizzari che Il giudizio di gusto espone più di altri al ridicolo potenziale, e rivela più di altri la nostra fragilità. Chi accetta di correre questo rischio ha un atteggiamento più rilassato e libero, non ostile verso gli altri. Il rischio di essere traditi dal proprio lato imbecille è sempre dietro l’angolo, e non conosco un singolo degustatore professionista che non abbia scritto qualche cazzata sparsa.
Ora non rimane che chiedersi per i prossimi europei: Cassano si o Cassano no?
Nel frattempo Seven nation army, sperando che sia di buon augurio…..po…po po po po po….po.
posted by Mauro Erro @ 12:06,
17 Comments:
- At 28 maggio 2008 alle ore 14:50, said...
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Mi sento di appoggiarti completamente, specie sui vini anfora.
Del resto, sul mio blog ho scritto qualche riga sui food snob.
Questi, più o meno, sono alcuni dei loro comandamenti:
Se è il Redigaffi, ha un prezzo sproporzionato e gonfiato dal gusto americanizzante.
Se è il Brunello di Soldera, ha un prezzo giusto, che ripaga le cure in vigna e in cantina.
Se è un bianco qualsiasi, è un vino squilibrato e impreciso nei tratti organolettici.
Se è un bianco di Gravner, è un vino che segue la natura.
Se è Chardonnay, è un vino banale e internazionale.
Se è Timorasso, è un vino che rappresenta la rivincita del territorio.
Se in Valpolicella si fa il ripasso, è una pratica ruffiana che strizza l’occhio alla moda dei vini iperconcentrati.
Se in Langa si fa passare Dolcetto o Freisa sulle vinacce del nebbiolo, è una pratica di grande tradizione.
Se un buon vino è fatto col concentratore, è pur sempre un vino taroccato.
Se un vino discutibile è fatto nelle anfore, è pur sempre un “vino vero”.
Se si fa un Merlot nel Chianti, è un cedimento al gusto internazionale.
Se si fa un Sangiovese a Bolgheri, è il tentativo di aprire una breccia nella roccaforte delle uve straniere.
Se è il Sassicaia, è un vino sopravvalutato.
Se è il Magma, è un vino che meriterebbe più notorietà. - At 28 maggio 2008 alle ore 15:09, said...
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Caro Tommaso,
secondo me me sei fuori strada e non penso che Mauro volesse prorpio dire certe cose (ma è meglio che chiarisca lui).
In effetti ha messo molta, troppa carne a cuocere.
fabiocimmino - At 28 maggio 2008 alle ore 15:42, said...
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Meglio: a me la carne al fuoco piace assai, specie se cucinata nel Cilento!
- At 28 maggio 2008 alle ore 16:23, said...
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Sì, lo ammetto, è enosnob, ho sbagliato a scrivere. Se hai voglia di fare queste considerazioni sul mio blog (ho fatto un copia-incolla) a commento del post relativo, ti aspetto a braccia aperte!
Cerca "enosnob" nel motore di ricerca, e lo troverai subito! - At 28 maggio 2008 alle ore 16:29, said...
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Aggiungo una cosa: sembra, dalle tue risposte, che l'intento goliardico e divertente delle mie considerazioni volutamente spinte ed esagerate (che riprendono lo stile di quelle fatte da Fabio Rizzari sul suo blog, in un post di qualche mese fa) non sia troppo evidente.
Per persuaderti: Michele Satta è amico mio da moltissimi anni, e il Cavaliere mi piace assaissimo. Sono considerazioni a livello più o meno astratto, e quando ho messo dei nomi (Sassicaia, Gravner) li ho usati per il loro valore evocativo di un certo modo di far vino, in qualche modo riconoscibile e valutabile.
Ma adesso non voglio occupare troppo lo spazio del buon Maurone. - At 28 maggio 2008 alle ore 16:31, said...
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Non frequento più certi postacci...
;-) - At 28 maggio 2008 alle ore 16:34, said...
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Vabbè, lo so che potrei fare di meglio, ma anche tu sei un poco esigente...
- At 28 maggio 2008 alle ore 18:20, Mauro Erro said...
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A parte il fatto che non avete occupato troppo spazio perché i post li scrivo affinché si possano sviluppare discussioni e confronti, per cui i vostri interventi sono ben graditi, e aggiungendo che nel Cilento oltre la carne si può mangiare del pesce niente male (vedi da Carmine a Punta Licosa dove amici mi hanno portato Domenica - consiglio vivamente la frittura - ) vengo al dunque: è vero, forse (come tra l'altro ho scritto) ho messa troppa carne a cuocere.
Il mio discorso verteva soprattutto sulla forzosa, a mio parere, contrapposizione tra vini industriali e vini contadini, lieviti selezionati e lieviti indigeni, ecc. ecc., che spesso credo sia un semplice arroccarsi sulle proprie posizioni. Tra l’altro, ripeto, un degustatore dovrebbe piazzare il naso nel bicchiere, bere, senza farsi influenzare da certi discorsi. Un vino può essere “buono” indipendentemente dagli strumenti che vengono utilizzati in cantina. Il discorso della naturalezza espressiva di un vino (tipicità del vitigno-influenza del terroir- trasformazione dell’uomo) può avere (ed ha) molteplici interpreti e varianti. Io su questo blog ho scritto di moltissimi vini da lieviti indigeni o da lieviti selezionati, e non ho volutamente scritto di tanti altri vini da lieviti indigeni e da lieviti selezionati. Utilizzare un lievito indigeno tra l’altro non è sinonimo di “contadino”. Allo stesso tempo, la piacevolezza di un vino (piacevole per chi?) non è sinonimo di vino di territorio.
Sui vini anfora, cito Angiolino Maule (produttore “naturale”) che dal ’98 e per cinque anni le ha provate: “Le anfore hanno un aspetto suggestivo, perché sono interrate e ci riportano agli albori della storia vinicola. Io però non voglio alterare il gusto del vino, che deve restare naturale al 100%”.
Sulle anfore per quanto mi risulta non esiste una letteratura scientifica (a parte una tesi di laurea a Milano con il professor Attilio Scienza). È un discorso tutto nuovo che bisogna affrontare senza farsi influenzare da discorsi filosofico-spirituali, non competono ad un degustatore, ma affrontandolo da un punto di vista scientifico. Si è soliti parlare dei vini anfora senza specificare le differenza che esistono (le anfore spagnole sono diverse da quelle georgiane, tanto per dirne una): senza dilungarmi in questa sede (lo farò sul blog dell’ais napoli) credo che le parole di Maule siano già di per se significative.
E in ogni caso come giustamente osservava Fabio, chi dice che un vino “naturale” non possa essere bevuto e valutato? Un difetto come ho scritto è un difetto, indipendentemente dalle pratiche di cantina, da lieviti indigeni, anfore, botti ecc. ecc. - At 28 maggio 2008 alle ore 18:32, said...
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Quello che forse non si capiva della mia lista tra il serio e il faceto, è che il punto in cui parlo delle anfore è assolutamente uno sberleffo all'atteggiamento che giustamente stigmatizzi.
Fabio si chiede: "Perchè un vino vero in quanto tale non può essere discutibile ?". Questa domanda non la deve fare a me (la risposta mia ovviamente è SI', come si sarà intuito...), ma a chi la pensa così. Mentre alcuni bevitori a un "vino vero" perdonano quasi tutto, anche i difetti evidenti.
Torniamo a premiare la qualità d'un vino, e un "vino vero" davvero buono (ad es. la Ribolla di Stanislao Radikon) non avrà bisogno di alcun paravento intellettualistico per giocare le proprie carte.
Non so se sono riuscito a farmi capire. Io ho voluto prendere in giro proprio chi ritiene che un vino d'anfora non si possa mai discutere. - At 28 maggio 2008 alle ore 18:42, Mauro Erro said...
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Si è capito, si è capito. Se permetti io andrei anche al di là dell'anfora in se per se, allargando il discorso sui vini naturali, biodinamici, biologici, su cui secondo me si continua a fare una grande confusione (il tutto a danno del consumatore)...Non dubito ad esempio che tra un po' grandi ed importanti aziende (industrie) del vino tireranno fuori qualche nuova linea "biologica", in tetrapak coricato in cantina....
- At 28 maggio 2008 alle ore 18:47, said...
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Io penso che non si tratta di stabilire se un vino d'anfora si possa discutere o meno perchè almeno per quanto mi riguarda ancora non ho incontrato persone così intransigenti da rifiutare il confronto...
Io, personalmente, dico io, Fabio Cimmino, sono invece sì più disponibile a perdonare un difettuccio ad un vino fatto in un certo modo (diciamo nel modo più naturale possibile se mi passate la perifrasi e che non è assolutamente un paravento intellettualistico ma al massimo credere in un'etica del fare vino come del resto credo nell'etica di una qualunque professione) piuttosto che la perfezione costruita in cantina di certi vini che rinunciano ad essere figli dell'annata e del territorio e preferiscono farsi partorire da enologo macchinari e additivi vari. Ecco, penso che le scorciatoie o talune pratiche di cantina siano poco o per nulla etiche. Ed un vino ritengo vada giudicato e valutato anche sotto questo aspetto. - At 28 maggio 2008 alle ore 19:01, Mauro Erro said...
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Ed anche su quest'ultima considerazione, penso ci si possa trovare d'accordo: purché si tratti di difettucci ;D...
P.S. Per "forzoso", intendevo forzato, mi è stato fatto gentilmente notare l'errore. - At 28 maggio 2008 alle ore 19:14, Mauro Erro said...
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Tra l'altro, aggiungo, di aver letto recentemente, non ricordo dove, ma su questo forse Fabio potrà essermi d'aiuto, dell'impatto ambientale di tutta una serie di sostanze chimiche utilizzate sovente in cantina. Uno studioso "laico" di vino, non può non tener presente questi argomenti....
- At 29 maggio 2008 alle ore 12:26, said...
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Puntuale come sempre è arrivata anche oggi la bacchettatura del Dott.Pignataro che dal suo sito-cattedra, come , sempre ci illumina con le sue pillole di saggezza e, come sempre, facendo grande confusione.
Più di 40 righe in apparenza riservate ad un vino ma in realtà alla cui descrizione organolettica dedica ben poche anche se illuminanti parole "...estrema freschezza che caratterizza anche questo Greco, una impostazione senza sconti, appena un cenno di frutta bianca, intenso e persistente sia al naso che in bocca, davvero piacevole nel corso di tutta la beva, pure con una struttura forse in certi momenti non all’altezza della acidità, quasi un colpo di coda di il marker fortemente messo in discussione dall’andamento climatico del 2007".
Descrizione che potrebbe andar bene per un pinot bianco altoatesino piuttosto che un trebbianmo dei Colli Piacentini, etc.etc.
Ma in apertura non ci aveva detto che faceva parte di una batteria di 8 "vini molto caratterizzati, diversi al naso anche se con un comune denominatore in bocca: sapidità, freschezza e tanta, davvero tanta, mineralità..."
ed, infatti, anche questo vino:
"...ha colpito un po’ tutti per il suo stile classico, capace cioè di parlare al grande pubblico degli appassionati senza però nascondere le caratteristiche varietali"
Se invece ci fossimo trovati difronte ad un Greco di Vadiaperti scomposto, spigoloso e minerale (roccia, idrocarburi, sapidità per intenderci e non lasciare la "tanta mineralità" nel vago) come solo i Greco di Raffele Troisi sanno essere a pochi mesi dalla vendemmia, cosa avremmo dovuto dire e pensare noi appassionati dickensiani...
"il difetto non va perdonato, ma studiato e superato" giusto l'importante è essere sicuri che si tratti di difetti e non di altro tipo di squilibri.
"una stoffa mal lavorata resta tale" giusto ma il vino non è una stoffa, è vivo ed evolve...
Altri passaggi della serie:
"Chi ricava il proprio reddito dall’agricoltura e non gioca con la vita (e con la morte) degli altri.." giuro di anon averli capiti!
Mi fermo qui anche se gli spunti sarebbe davvero molti.
Erro ripassi il prontuario ed i manuali per la prossima volta prima di postare... - At 29 maggio 2008 alle ore 13:38, Mauro Erro said...
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Con tutto l'affetto per l'anonimo che puntualmente (immagino sia sempre lo stesso) segue questo blog e commenta, vorrei far notare che anche se il sito del Dott. Pignataro non prevede l'inserimento dei commenti, gli si può sempre scrivere una mail. Questo blog non è (necessariamente) lo spazio per commentare i suoi scritti.
Poi ovviamente ognuno fa ciò che vuole.
La ringrazio comunque per il consiglio.
Saluti. - At 29 maggio 2008 alle ore 14:04, said...
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Giustissimo. Mi ero permesso perchè nello scritto di oggi apparso sul sito di Pignataro mi pareva ci fossero chiari riferimento a quanto scitto su questo blog. E, poi, commentare in diretta è un'altra cosa. Chiedo scusa.
- At 29 maggio 2008 alle ore 14:11, Mauro Erro said...
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Non ha nulla di cui chiedere scusa.
E ha fatto bene a commentare, se ha visto riferimenti a questo scritto.
La mia era una considerazione di carattere generale, visto che ultimamente tra riferimenti e commenti, risposte incrociate e frasi sibilline...
Io nutro l'illusione che le persone vogliano fondamentalmente leggere di vino, tutto qui.
Ri-saluti.