Nero d'Avola 2004, Morgante
mercoledì 2 aprile 2008
posted by Mauro Erro @ 11:21,
3 Comments:
- At 6 aprile 2008 alle ore 11:09, Felipegonzales said...
-
Nella tua lista ci aggiungerei Passo delle mule - Duca di Salaparuta, ma che esula dal prezzo di Morgante (direi che costa il doppio).
- At 11 aprile 2008 alle ore 23:23, said...
-
I Nero d'Avola nascono come vino da tavola e tuttora, seppur il livello qualitativo sia complessivamente salito, conservano un prezzo vantaggioso ed un ottimo rapporto qualità prezzo.
Diciamo che non è un vino che brilli per eleganza e complessità, ma è sicuramente accattivante per intensità ed aromi.
Segnalo anche, nella stessa fascia di prezzo, Cusumano e Feotto dello Jato.
Michelangelo - At 12 aprile 2008 alle ore 12:55, said...
-
Caro Michelangelo non credo che il fatto che i Nero d’Avola nascano come vino da tavola possa rappresentare un’attenuante, una scusa o una motivazione a quello che tu attribuisci a questi vini. Il Sassicaia (piaccia o meno) non era un vino da Tavola? Sai quanti aglianico d.o.c. da 1 euro ti compri al supermercato e sai qual è la loro qualità complessiva? Imbevibili! Dai disciplinari mi discosterei (oramai non so da quanti anni si parla di cambiarli). Credo nel post di essere stato chiaro, al di là dei personali gusti, chi sa stabilire un minimo comun denominatore per i vari Nero d’Avola. Fin quando parliamo di 5, 6 euro, posso tranquillamente accontentarmi di un vino piacevole ed eseguito bene, ma se iniziamo a salire con i prezzi pretendo di più. Pretendo un vino che sappia emozionarmi e non un vino fatto bene da un bravo enologo in cantina. La Sicilia ha saputo vendersi nel momento migliore del vino italiano, nel boom degli anni novanta, ma oggi? All’ultima edizione di “Sicilia en Primeur” è stato lo stesso Cotarella a parlare di un cambio di direzione, perché il mercato ora non chiede più “vini imponenti, qualcuno dirà era l'ora, ma ricordiamoci che quei vini ci sono serviti per uscire dall'inferno...”. Io continuo a pensare che al vino bisognerebbe avere un approccio innanzitutto culturale – che tradotto in termini degustativi vuol dire il giusto equilibrio tra terra, vitigno e uomo – e non adeguarsi in base al mercato. Evitando il termine tipicità, parlerei di naturalezza espressiva o naturalezza esecutiva (come preferisce Francesco Annibali). Per un degustatore (termine che a me non piace, io mi definisco molto più semplicemente un bevitore, nonostante sia un operatore del settore) “degustare un vino significa soprattutto distinguere un vino di qualità reale da un prodotto che imita un vino di qualità”. Quest’ultima frase è di Rizzari, non proprio l’ultimo arrivato (curatore della guida dei vini dell’espresso insieme a Gentili). Ha ragione. Ripeto non parlo di gusti (c’è gente che beve coca cola invece del vino, quindi?), ma stando alle aziende da te citate, sai cosa penso di Cusumano: i suoi prodotti di punta sono spesso sovraestratti e imbevibili dopo il primo bicchiere perché stancano nonché pieni di legno (i vari noà), e i prodotti base non vanno al di là della correttezza tecnica. Ma di vini così ne trovi a migliaia e per me sono inutili: adoro la pasta e patate, ma dovessi mangiarla tutti i giorni, pranzo e cena, sai che noia? In Sicilia si presta poco attenzione al Nerello Mascalese, ma, da Salvatore Geraci e il suo Faro Palari a quelli etnei di Benanti, io ci trovo molte più emozioni. Poi, ti dovessi dire la mia sul Nero d’Avola, che ripeto non è vino che mi entusiasma, ti citerei aziende come I Gulfi, Arianna Occhipinti e Terra della Sirene.