Sassella Riserva Rocce Rosse 1996, Arturo Pelizzatti Perego

Ne scrissi tempo fa. Intimorito, imbarazzato, consapevole che il racconto di tale disarmante naturalezza non poteva appartenere all'uso artefatto della penna (della mia, probabilmente). Ogni volta, da allora, che ho avuto modo di berlo nuovamente condividendolo (l'unico modo vero per trasmettere la passione e la cultura del vino, al di là di racconti, critiche, video e quant'altro) con amici, mi tornavano alla mente le sagge parole di La Bruyère, un intellettuale francese del settecento: "il piacere della critica ci toglie quello di essere profondamente commossi da cose molto belle". E nonostante il mio scrivere sia solo il tentativo di raccontare senza alcuna critica, la commozione, seguita alla bevuta di questo vino, ha sempre prevalso. Anche qualche giorno fa, nuovamente. Così sconsolato avevo rinunciato. Poi, una coincidenza (cosmica come direbbe un amico) mi ha portato in alcune mie letture alla penna del Pardini, alla sua rubrica di cui sono affezionato lettore, a quel suo modo gentile e aggraziato, a quel suo scrivere amabilmente poetico, con garbo e signorilità fuori dal comune, con quel sentimento che appartiene all'uomo di goût ed esprit che sa coniugarli con quella delicatesse che è il suo stile, che imprimeva su carta con maestria le sue impressioni di questo vino. A quel punto, spronato da un sentimento di gratitudine nei suoi confronti, ma soprattutto nei confronti di questo vino (e delle persone che eroicamente ne acconsentono la nascita), ho deciso che il minimo che potessi fare in segno di riconoscenza è raccontarlo con il massimo sforzo, scusandomi per il tratto incerto, per la sfocata inquadratura, per la grossolanità delle sfumature di cui sarà caratterizzato. È di quei vini di fede incrollabile, immobile, così pura la sua espressione da appartenere alla naturalezza dell’universo, nel suo verbo son certo non gli appartiene la conoscenza del termine sofisticazione. Lì, fermo, ti chiedi da dove venga fuori, pare di trovarsi innanzi ad un’opera divina, una cascata, una monumentale montagna, un panorama da guardare in religioso silenzio. È e non è, diviene e sarà: ne apri la bottiglia 12, 14, 16 ore prima e si mostra sempre diverso, il frutto di lampone, i fiori secchi, poi sarà la liquirizia, la roccia viva e gli agrumi, le erbe officinali e ad un certo punto le spezie. Impalpabile, aereo, tanto delicato da non apparire bevanda o succo, ma esperienza trascendentale, respiro che t’avvolge senza che tu ne avverta la consapevolezza, finché sarai trascinato dalla sua sapida mineralità lì dove solo l’animo, non la ragione, può arrivare. Ed ora, torno alla mia commozione. Michael Nyman.

posted by Mauro Erro @ 11:53,

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