Lacryma Christi Vigna del Vulcano 2003, 2004, 2005, Villa Dora
venerdì 13 giugno 2008
Avevo un pegno da pagare. Un vino (Lacrima Chrysti 2004 vigna del vulcano, Villa Dora) che avevo bevuto poco prima delle festività natalizie passate e che non avevo avuto modo di raccontare (all’epoca questo blog non era neanche stato pensato). È così che ieri ho partecipato all’ultimo dei tre giorni dedicati al Coda di Volpe alla Fabbrica dei Sapori (Battipaglia, Sa), manifestazione organizzata da Luciano Pignataro.
Ieri toccava alla provincia di Napoli, gli altri due giorni sono stati dedicati all’avellinese (che peccato essersi perso la verticale del Coda di Volpe di Raffaele Troisi di Vadiaperti, vinello che consiglio vivamente) e al Sannio. Prima di lasciarvi agli appunti veloci della verticale voglio segnalarvi alcuni vini presenti, invece, ai banchi d’assaggio e che vi consiglio di bere: Coda di Volpe 2006 e 2007 (vendemmia leggermente tardiva) di Sylva Mala (Pompeiano igt), naturalezza e mineralità, niente picchi, ma ricordiamoci che parliamo di Coda di Volpe. A seguire, Coda di Volpe di De Angelis e Lacryma Christi di Podere del Tirone, entrambi 2007, scontano ancora un naso un po’ banale, ma al palato la beva è trascinante grazie alla buona acidità, ma soprattutto all’ottima sapidità.
Lacryma Christi Vigna del Vulcano 2005, Villa Dora: All’inizio è quello che mi risulta più difficile inquadrare: scompostezza del vino o naso del degustatore che doveva ancora calibrarsi? Pare quasi faccia legno, ma non lo fa. Il colore viaggia tra il paglierino e l’oro, al naso deve scontare un’iniziale botta di zolfo che col passare del tempo svanirà favorendo l’espressione dolciastra di un frutto maturo. Tanta materia che al palato è accompagnata da buona acidità e sapidità (saranno delle costanti), chiusura amara e un filo di alcool di troppo che al palato s’avverte. Alla fine, invece, è proprio quello più facile da inquadrare. Prodotto tecnicamente eseguito bene, con qualche difettuccio, ma che, almeno personalmente, non emoziona.
Lacryma Christi Vigna del Vulcano 2004, Villa Dora: è quello che aspettavo di ritrovare. Il colore vira in maniera più insistente rispetto al predecessore sull’oro. Il naso gioca su un equilibrio (forse mancato) di sentori minerali accentuati sporcato da un sentore di medicinale (feccino?), a cui si susseguono delle intriganti note animali. Al palato è quello che ha maggior equilibrio con accentuata sapidità. Passaggio in tonneau per tre mesi.
Lacryma Christi Vigna del Vulcano 2003, Villa Dora: Oro carico e concentrato. Già dal colore si intuisce il calore dell’annata e il lungo passaggio in legno: 24 mesi (in un’annata così calda, perché?). Caramello, rimandi balsamici, fiori, accentuate note boisè. Al palato è imponente, ma allo stesso tempo ha buona freschezza e ancora, quasi un timbro, tanta sapidità. Prodotto più piacione, che io farei fatica a bere: dimentica il tentativo di aderire al territorio per viaggiare verso altri lidi.
Ieri toccava alla provincia di Napoli, gli altri due giorni sono stati dedicati all’avellinese (che peccato essersi perso la verticale del Coda di Volpe di Raffaele Troisi di Vadiaperti, vinello che consiglio vivamente) e al Sannio. Prima di lasciarvi agli appunti veloci della verticale voglio segnalarvi alcuni vini presenti, invece, ai banchi d’assaggio e che vi consiglio di bere: Coda di Volpe 2006 e 2007 (vendemmia leggermente tardiva) di Sylva Mala (Pompeiano igt), naturalezza e mineralità, niente picchi, ma ricordiamoci che parliamo di Coda di Volpe. A seguire, Coda di Volpe di De Angelis e Lacryma Christi di Podere del Tirone, entrambi 2007, scontano ancora un naso un po’ banale, ma al palato la beva è trascinante grazie alla buona acidità, ma soprattutto all’ottima sapidità.
Lacryma Christi Vigna del Vulcano 2005, Villa Dora: All’inizio è quello che mi risulta più difficile inquadrare: scompostezza del vino o naso del degustatore che doveva ancora calibrarsi? Pare quasi faccia legno, ma non lo fa. Il colore viaggia tra il paglierino e l’oro, al naso deve scontare un’iniziale botta di zolfo che col passare del tempo svanirà favorendo l’espressione dolciastra di un frutto maturo. Tanta materia che al palato è accompagnata da buona acidità e sapidità (saranno delle costanti), chiusura amara e un filo di alcool di troppo che al palato s’avverte. Alla fine, invece, è proprio quello più facile da inquadrare. Prodotto tecnicamente eseguito bene, con qualche difettuccio, ma che, almeno personalmente, non emoziona.
Lacryma Christi Vigna del Vulcano 2004, Villa Dora: è quello che aspettavo di ritrovare. Il colore vira in maniera più insistente rispetto al predecessore sull’oro. Il naso gioca su un equilibrio (forse mancato) di sentori minerali accentuati sporcato da un sentore di medicinale (feccino?), a cui si susseguono delle intriganti note animali. Al palato è quello che ha maggior equilibrio con accentuata sapidità. Passaggio in tonneau per tre mesi.
Lacryma Christi Vigna del Vulcano 2003, Villa Dora: Oro carico e concentrato. Già dal colore si intuisce il calore dell’annata e il lungo passaggio in legno: 24 mesi (in un’annata così calda, perché?). Caramello, rimandi balsamici, fiori, accentuate note boisè. Al palato è imponente, ma allo stesso tempo ha buona freschezza e ancora, quasi un timbro, tanta sapidità. Prodotto più piacione, che io farei fatica a bere: dimentica il tentativo di aderire al territorio per viaggiare verso altri lidi.
posted by Mauro Erro @ 11:46,