Brasserie Cantillon ovvero elogio della lentezza

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Non siamo negli anni Settanta ai tempi di Radio Alice ne a Bologna, ma in quel di Bruxelles agli inizi del nuovo millennio. La Brasserie Cantillon apre i battenti nel lontano 1900 al numero 56 di Rue Gheude Straat, là dove tutt’oggi aspetta curiosi e interessati all’unico esempio di produzione birraria artigianale rimasto in città.
Un passo indietro, la storia: siamo all’inizio del secolo scorso quando Perè Cantillon apre il proprio birrifico, dapprima per imbottigliare e commercializzare lambic di altri produttori (all’epoca oltre 45) e successivamente tramandare la sua arte ai figli Marcel e Robert, i quali dal 1937 iniziano ad assemblare la propria lambic. Nel 1968 Marcel si ritira e il genero Jean-Pierre Van Roy continua la tradizione di famiglia assieme al figlio Jean (mastro birraio dal 2001) rimanendo sulla scena come l’ultimo e inattaccabile baluardo della tradizone brassicola belga.
Un passo avanti, le lambic: il termine forse deriva da Lembeek, località a circa 20 km a sud-ovest dalla capitale belga. Certo è che si trovano documenti della sua presenza molto indietro nel tempo (interessantissimo questo scritto di Lorenzo Dabove, in arte Kuaska, dove sono citati alcuni dipinti di Bruegel in cui è possibile riconoscere le lambic).
Lambic? What does it mean???? Nello stesso scritto di Kuaska, o anche in questo dell’amico Fabio Cimmino, potete leggere tutte le informazioni tecniche su questo stile birrario quasi dimenticato. L’elemento fondamentale è e resta la fermentazione spontanea.
Attualmente le birre vengono prodotte seguendo il processo dell’alta fermentazione (lieviti che operano a temperature alte) o bassa (viceversa i lieviti operano a basse temperature). Nel caso delle lambic né l’una né l’altra, la fermentazione è appunto spontanea, con l’utilizzo di lieviti quindi presenti naturalmente nella camera di fermentazione. Questo conferisce a queste birre il loro peculiarissimo carattere gusto-olfattivo che ai più farà storcere il naso (il produttore Frank Boon ha giustamente definito le lambic l’anello di congiunzione tra la birra e il vino). Ma di questo hanno già parlato e anche meglio altri. Ciò che mi preme sottolineare è il fatto che, essendo spontanea, la fermentazione segue tempi naturali, non costretti nè dipendenti dall’uomo, può arrestarsi per poi riprendere. L’immagine che ne ho io è quella di un canuto signore che procede per il suo sentiero, negando l’aiuto di marchingegni e rumorose diavolerie, che si ferma sul ciglio della strada per riposare, poi riprende, fiero, nobile, felice. E il fattore tempo è determinante nella produzione di queste birre non solo nella fase di fermentazione, ma anche in quella di affinamento che può durare fino a 3 anni in vecchie botti scariche. Insomma una birra fatta dal tempo, con lentezza appunto, perchè ciò che viene fatto senza il suo aiuto non reggerà la sfida degli anni, come ci ammonisce questa frase scritta a mano su un pezzo di legno lungo il percorso obbligato attraverso la Brasserie Cantillon.

Un altro passo avanti, la visita guidata: la Brasserie Cantillon da un po’ di tempo è anche Museo e alcuni giorni a settimana è aperta ai visitatori. La visita si snoda attraverso diverse aree del birrificio destinate alle varie fasi della produzione delle lambic. Considerazione numero uno: la brasserie è quasi tutta calpestabile, fatta eccezione per la camera di fermentazione e il motivo è ovvio: l’ambiente-natura non può e non deve essere contaminato. La camera si trova al piano più alto della struttura e non si è intervenuti sul tetto originale in legno, nonostante pericolante, per evitare che i lieviti ivi presenti venissero danneggiati. Considerazione numero due: la visita è sconsigliata agli asmatici e a chi ha problemi respiratori. Ci sono ragnatele, polvere dovunque, botti e bottiglie accatastate da tempo e ogni sorta di animaletto circolante ed anche per questo c’è un motivo: mi spiegano che i loro prodotti sono il risultato di un equilibrio che si è creato in cento anni e più di storia; i ragni, mi dicono, sono quasi considerati sacri perché si cibano degli insetti ghiotti della frutta matura utilizzata per la Kriek; insomma, tutto segue il percorso naturale, quello che fa della Brasserie Cantillon l’unico erede della tradizione brassicola belga. E, tengono a precisare i due simpatici ragazzi che mi guidano per la cantina, occorre del tempo anche per l’affinamento in bottiglia: non siate smaniosi di aprire una bottiglia di Cantillon! Anche lei, la bottiglia, ha bisogno di tempo, in barba alla menzognera legislazione tutta italiana che vuole imposta in etichetta una data di scadenza più per fini commerciali che non di salute (a dimostrazione di ciò, leggete qui).

La visita si conclude con l’assaggio dei vari stili prodotti: Lambic, Gueze, Vigneronne, Iris (sì! Lo so che la Iris tecnicamente non è una lambic perché prodotta solo da malto d’orzo, ma non fate i pignoli!!) e chicchetta per gli invidiosi la Faro. La Faro è una birra non più in circolazione, non commercializzata nemmeno da loro, che viene prodotta con l’aggiunta di zucchero candito o melassa. La successiva rifermentazione è talmente potente da non permetterne l’imbottigliamento e per questo viene consumata solo localmente, servita in brocche. E una brocca colma di Faro ha chiuso la mia degustazione, anche questa lenta, lentissima, in linea con uno stile tutto slow. Considerazione finale: bere con lentezza, vivere con lentezza, amare con lentezza e… ovviamente, lavorare con lentezza.

Roberto Erro

posted by Mauro Erro @ 11:30, ,


Dolci di Carnevale..Last Minute!

Oggi è Carnevale, ultimo giorno a disposizione per lanciare velocemente due ricettine golosissime che potete preparare anche all’ultimo minuto o domani per allungare i festeggiamenti e rammentare i piacevoli momenti della giornata precedente.
Naturalmente, come tradizione comanda, i dolci sono fritti.
Ma che carnevale sarebbe senza lasagne e fritture???
Le castagnole sono delle piccole frittelline ricoperte di zucchero, molto molto dolci e tanto accattivanti da mangiarne una dopo l’altra senza accorgersene; le chiacchiere sono un classico intramontabile, di una semplicità disarmante ma irresistibile. Poi se le si accompagna ad una gustosa crema di cioccolato, che nelle pasticcerie napoletane continuerete a trovare ancora sotto il nome di sanguinaccio, nonostante con il sangue di maiale non abbia più niente a che fare, si potrebbero raggiungere momenti di assoluto godimento.
Le chiacchiere proposte sono state preparate dal papà di Mauro: giusto equilibrio di ingredienti e cottura perfetta; mentre le castagnole, per ben due volte (è stata studiata la frittura perfetta: basta un pentolino più piccolo!) ci sono state preparate dalla mia mamma...insomma mi sono coccolata per una settimana intera, ecchevvelodicoaffà!!!

Castagnole con lo zucchero

Ingredienti
500 gr di farina
3 uova intere
Zucchero
1 limone non trattato
100 gr di burro
Una bustina di lievito in polvere
1 dl di latte
Olio per friggere
Sale


Lasciate sciogliere il burro in un pentolino su fuoco basso. Disponete la farina a fontana sulla spianatoia con un pizzico di sale, 200 gr di zucchero e la scorza grattugiata del limone. Sgusciate al centro le uova, aggiungete il burro tiepido, il latte e il lievito setacciato e impastate gli ingredienti partendo dal centro, prima con una forchetta e poi con le mani, fino a ottenere un impasto sodo e omogeneo. Prelevate una piccola porzione di impasto e formate un cilindro dal diametro di circa 2 cm. Tagliatelo a tocchetti e, facendoli rotolare sotto le palme delle mani, formate delle palline. Ripetete l’operazione fino all’esaurimento degli ingredienti. Friggete le castagnole in abbondante olio ben caldo, poche alla volta, fino a quando assumono una colorazione dorata e uniforme, scolatele e passatele nello zucchero, in modo che ne siano completamente ricoperte.


Chiacchiere

Ingredienti
300 gr di farina
80/90 gr di zucchero
3 uova
30/40 gr di burro
2 cucchiaini di limoncello
Sale
Olio per friggere
Zucchero a velo

Disponete la farina a fontana su una spianatoia, sgusciatevi al centro le uova, aggiungete il burro ammorbidito a temperatura ambiente, lo zucchero, un pizzico di sale e i cucchiaini di limoncello. Con una forchetta bucherellate le uova e cominciate a mischiare i vari ingredienti, continuate a lavorare con le mani finché non otterrete un composto omogeneo ed elastico. Lasciate riposare la pasta, avvolta dalla pellicola, per una quarantina di minuti. Una volta passato il tempo necessario dividete la pasta in piccoli pezzi che poi ridurrete a sfoglia con l’ausilio della macchinetta (num.4). Una volta ottenute le sfoglie tagliatele con la classica rotella per ottenere le forme irregolari delle chiacchiere. In una pentola col fondo spesso fate riscaldare l’olio, friggete le chiacchiere e cospargetele di zucchero a velo.


Adele Chiagano

posted by Mauro Erro @ 13:22, ,


Tartufi al cioccolato...piccanti!

Sarà che sono reduce da una delle letture più appassionanti che io abbia mai fatto, sarà che ancora fluttuo tra caimani che ardono al sole con le fauci spalancate per prendere le farfalle lungo le rive della Magdalena e “manati” che urlano come donne condannate al perenne smarrimento amoroso, sarà che ho la mente ancora vagante tra pelli color d’ebano imperlate di sudore, calura tropicale e pappagalli colorati, sarà che il Caribe è sempre il Caribe, ma sciogliere la tavolozza di cioccolato stavolta mi è sembrato ancora più affascinante del solito. L’odore e i “rumori” del cioccolato al rimestare del cucchiaio di legno mi hanno portato ancor più del solito in uno stato di trans tanto che con la mente sono passata dolcemente dalla Colombia al piccolo paesino di Lansquenet-sous-Tannes e l’aggiunta di spezie dopo il “bagnomaria” è stato un passo obbligato e naturale.
Nonostante la mia estemporanea immedesimazione con la bella Vianne di Chocolate, sono state le prime civiltà del Messico e non lei ad unire al cioccolato il peperoncino e le spezie piccanti (via via sostituiti da noce moscata, cannella e vaniglia), ma la bellissima Binoche in questo contesto romantico calzava meglio di un Maya ed è quindi con questo spirito da dispensatrice di dolci consigli che ho deciso di rendere i miei tartufi più piccanti con peperoncino, pepe garofanato e cannella.
Il peperoncino era sempre quello del signor Michele Ferrante (ultimamente re della mia cucina!) di Controne (SA), la cannella era la cannella, ma il pepe garofanato?
Non avendo a portata di mano (sono pur sempre di Mozzarellandia!) questa varietà di pepe che viene dalla Giamaica le cui grosse bacche esalano toni di chiodi di garofano e cannella, pepe e noce moscata, ho rimediato con un macinino: un chiodo di garofano, un granello di pepe nero a macinare, l’aggiunta di una puntina di cannella e ho riprodotto il mio personalissimo pepe garofanato!
Che il cioccolato fa bene all’umore e sopperisce alle carenze d’affetto, che non fa male al fegato, non incide sul colesterolo, contiene potassio, fosforo e ferro, è ricco di antiossidanti, dà energia e aiuta gli insonni a prendere sonno eccetera, eccetera, eccetera non lo dico io che viaggio virtualmente dal Caribe alla Francia, ma un fior fiore di studi e studiosi. Che le spezie e le loro ricche sfumature di odori e colori aiutano a rendere il cioccolato ancora più intrigante e gustoso è un dato di fatto, per cui appurato ciò se ne fate un uso moderato potete abusarne tutti, considerando poi che tra un po’ è San Valentinocela va sans dire

PS: il libro di cui parlo è “L’amore ai tempi del colera”, Gabriel Garcia Marquez, semplicemente MERAVIGLIOSO!!!!

Ingredienti

200 gr di cioccolato fondente
150 gr di cacao
Cannella in polvere
100 gr di zucchero
Peperoncino in polvere
2 tuorli
4 cucchiai di latte
100 gr di burro
Pepe garofanato (se lo trovate altrimenti fate come ho fatto io!)


Tritate grossolanamente il cioccolato e scioglietelo in una casseruola a bagnomaria con lo zucchero, il latte e il burro. Levate dal fuoco, unite i tuorli, mescolate e distribuite il composto in tre ciotoline. Incorporate al primo la punta di un cucchiaino di peperoncino piccante in polvere, al secondo la polvere di un cucchiaino di pepe in polvere e al terzo altrettanta cannella. Mescolate i tre composti e fate rassodare in frigo per un’ora. Dopodiché formate con i composti tante palline: passate quelle al peperoncino e al pepe nel cacao in polvere, e quelle alla cannella prima nel cacao poi di nuovo nella cannella in polvere. Distribuite in pirottini di carta e tenete in luogo fresco fino al momento di servire. (da un sale&pepe datato 2006)

Adele Chiagano

posted by Mauro Erro @ 12:06, ,


Arista di maiale al forno con patate

C’è che ultimamente su questo blog va di moda il neo melodico style e c’è che dopo la pasta e fagioli ci occorre qualcosa di veramente classico, dannatamente nostalgico, più delle sorelle Kessler e di Pippo Baudo messi insieme, più del polpettone e di carosello, più dei Beatles e dei Rolling Stones, insomma ci vuole proprio un arrosto con le patate!
Il piatto non rappresenta solo una familiarità di sapori e di odori, ma contribuisce a rendere la preparazione del pranzo domenicale meno impegnativa: una volta svolte le minime pratiche iniziali previste dalla ricetta, lo si mette in forno e ci si dedica ad altro.
Il suddetto piatto tra l’altro non necessita di una presentazione particolare né di un’eccessiva cura per gli abbinamenti “liquidi”, noi del Viandante l’abbiamo preparato una prima volta per accompagnare una birra, la trappista Achel e una seconda volta per gustare i Primitivi di Gioia del Colle. La terza volta, per il pranzo della domenica, siamo passati dal sacro al profano, così senza troppi fronzoli. Il versatile arrosto ha retto sempre bene…l’unico abbinamento che proprio non ha retto è risultato essere il talk show della Barbara D’Urso, ma a quello abbiamo rimediato, è bastato semplicemente cambiare canale!


Ingredienti:
1 arista di maiale da 1 kg e 200
150 gr di pancetta
1 cipolla
1 spicchio d'aglio
4 patate
1 rametto di timo
1 ciuffo di prezzemolo
1 bicchiere di vino bianco secco
olio, sale e pepe


Legate la carne con lo spago da cucina. Tritate la cipolla e fatela appassire in una casseruola con 4 cucchiai di olio. Unite la pancetta tagliata a listarelle, lasciate insaporire e sgocciolate il soffritto. Fate rosolare la carne uniformemente nella stessa casseruola, girandola. Trasferite il tutto in una teglia da forno, salate e pepate, versate il vino e cuocete in forno caldo a 200° per circa un'ora, bagnando spesso la carne con il fondo di cottura. Sbucciate le patate, tagliatele a tocchi, insaporitele con l'aglio sminuzzato, il timo e il prezzemolo, salatele e pepatele. Unitele alla carne, mescolandole al fondo di cottura, e cuocete ancora per un'ora. Servite l'arrosto a fette con le patate.
Adele Chiagano

posted by Mauro Erro @ 11:22, ,






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