Heres Day Napoli


HERES DAY A NAPOLI


Lunedì 11 maggio, 2009
Napoli, Hotel Ramada
Via Galileo Ferraris, 40
dalle ore 11,00 alle ore 21,00

in collaborazione con
Associazione Italiana Sommeliers, AIS Campania e
AIS Napoli


Lunedì 11 maggio presso l’hotel Ramada a Napoli l’evento all’insegna dell’eccellenza enologica: una delle società di distribuzione più importante d’Italia, la Heres group in collaborazione con Associazione Italiana Sommeliers, AIS Campania e AIS Napoli presenterà i vini distribuiti alla presenza dei produttori.

In degustazione una carrellata di etichette italiane dall’Alto Adige alla Sicilia passando per le migliori selezioni di Borgogna e Champagne: un momento di verifica e di dialogo tra il pubblico, gli addetti ai lavori e le persone che con i loro vini donano emozioni e fanno cultura del territorio.
Oltre i banchi d’assaggio per gli operatori e i soci AIS, sono previsti quattro seminari di degustazione guidati dai produttori stessi per approfondire zone, vitigni e annate. Faranno da cornice alla manifestazione alcune eccellenze della gastronomia campana e nazionale: Antica Panetteria dei Buoni Sapori con le pizze e il pane a canestrella, Az. Tomaso Salumi con la selezione i Neri del Duca, le conserve e i sottolii di Caparossa, i prodotti gastronomici Selecta, i cioccolati Amedei, Pa.De.Co con i prodotti tipici siciliani, l’Onaf Napoli Centro con il conciato romano dell’Az. agricola Le Campestre, la mozzarella di bufala campana del Caseificio Tenuta Doria e il provolone del Monaco del Caseificio Ruocco ristorante Antichi Sapori.

Heres Group di Terranuova Bracciolini (Arezzo), è oggi uno dei punti di riferimento più qualificati nell’erogazione di servizi specializzati per il mercato del vino, il suo obiettivo principale è quello di valorizzare il vino sviluppandone al meglio le sue potenzialità.

Programma della giornata

Banchi d’assaggio dalle ore 11,00 alle ore 21,00
alla presenza dei produttori

Ticket d’ingresso: 15 Euro soci Ais e Onaf, 18 Euro (non soci)


TOSCANA/ Birrificio Brùton, Brancaia, Brancaia in Maremma, Isole e Olena, La Mozza, Le Boncie, Le Macchiale, Petrolo, Podere Il Carnasciale, Querciabella, Tenimenti d'Alessandro PIEMONTE/ Le Piane, Negri, Vietti TRENTINO ALTO ADIGE/ Falkenstein, Nossing, Dipoli, Gottardi FRIULI VENEZIA GIULIA/ Bastianich UMBRIA/ Lamborghini, Tabarrini SICILIA/ Ceuso, Tenuta delle Terre Nere CHAMPAGNE/ Fleury, Corion, Jean Milan MOSELLA/ Weingut Willi Schaefer COTE DU RHONE/ Domaine Georges Vernay BOURGOGNE/ Chandon de Briailles, Chateau De La Tour, Domaine Bart, Domaine Fourrier, Domaine Jobard, Domaine Voillot, Domaine Mugneret-Gibourg, Domaine Rossignol-Trapet.

Seminari di degustazione (max 30 persone)
Info e Prenotazioni : 0823.345188

Ore 12.30...Bianchi che hanno fatto la storia...
4 vini bianchi che alla loro uscita hanno significato un punto di rottura con la tradizione e che con gli anni sono diventati un classico del proprio territorio, ognuno di questi proposto in una annata significativa:
Falkenstein – Riesling 2005, Nossing - Kerner 2006, Bastianich – Vespa Bianco 2004, Querciabella – Batar 1998

Ore 15.00 Bordò…all’italiana
Quattro vini prodotti con un occhio alla Francia ma con uno stile tutto italiano…proposti a 10 anni dalla vendemmia.
Brancaia – Il Blu 1999, Querciabella – Camartina 1999, Ceuso – Ceuso 1999, Lamborghini – Campoleone 1999

Ore 17.00 Meglio soli che male accompagnati…
Monovitigni italiani da nord a sud. Territori diversi, storie differenti e un grande comune denominatore: essere realizzati in assoluta purezza.
Podere il Carnasciale – Il Caberlot 2002, Isole e Olena – Cepparello 2001, Le Macchiole – Paleo 2001, Petrolo – Galatrona 2000, Tenimenti d’Alessandro – Il Bosco 2001

Ore 19.00 I terroir-isti
Quattro esperienze, dal nord al sud dell’Italia, alla riscoperta di tradizioni antiche e arcaici saperi.
Le Piane – Boca 2001, Tenuta delle Terre Nere – Etna Rosso Guardiola 2004 e Etna Rosso Feudo di Mezzo 2004, Tabarrini – Sagrantino Colle Grimaldesco 2002, Vietti – Barolo Castiglione 2001


Segreteria organizzativa
Adele Chiagano 081/ 3722670 - 329/6467600
Divinoinvigna enoteca e laboratorio

posted by Mauro Erro @ 13:53, ,


Che Dio salvi il Nord Piemonte e i cronisti del vino

I quarantaduemila ettari vitati dell’Alto Piemonte della fine dell’Ottocento
erano diventati meno di 700 ottant’anni dopo;
è come se, in proporzione, l’Italia, isole comprese,
venisse ridotta all’attuale estensione della provincia dell’Aquila

Castagni, cerri, betulle, frassini, ailanti, ippocastani, ciliegi selvatici,
querce e robinie hanno rioccupato lo spazio che era loro
come se non aspettassero altro,
mentre i figli dei contadini, in transumanza verso le industrie tessili e metalmeccaniche
di Romagnano, di Ivrea, di Torino,
si lasciavano definitivamente alle spalle
il retaggio di una agricoltura ancestrale, povera e sfiancante,
quella dei loro padri.

Armando Castagno, da Boca, la memoria e la rinascita, Bibenda n. 30, febbraio 2009

Quello che leggerete di seguito è un estratto del materiale che, Armando Castagno, ha scritto in occasione del secondo appuntamento della Cantina dei Sogni svoltosi lo scorso venerdì 17 Aprile, dedicato ai vini del Nord Piemonte. Di seguito trovate le mie personali note sui vini in degustazione, che hanno goduto, ovviamente, delle sue precise e puntuali osservazioni.
Voglio ringraziarlo, anche in questa sede, per avermi ricordato il senso etico della testimonianza come necessità affinché non si dimentichi, non si perdano le tracce di territori, uomini, delle loro tradizioni, di vini così leggiadri e squisiti, di una cultura: dunque, per il suo voler essere semplicemente un cronista, uno scrittore di vino, e avermi dato la possibilità di invitarlo a Napoli, per sentire e fare ascoltare la sua testimonianza. (M.E.)

Dove inizia l’Alto Piemonte, dove finisce? Difficile dire; i tentativi di istituzione di una denominazione unica sono finora falliti o sono stati accantonati. Troppo complicato trovare caratteri di unitarietà in un distretto nato per convenzione tassonomica, dai confini così incerti, che tocca quattro province (Novara, Vercelli, Biella e Torino), diciotto matrici geologiche distinte, altitudini ed esposizioni diverse e in qualche caso diametralmente opposte, sommatorie termiche e luminose clamorosamente difformi. L’Alto Piemonte del quale ci occuperemo noi non comprende, nonostante la base ampelografica comune, la zona del Donnas, che culturalmente è un’isola e politicamente è in Valle d’Aosta; né, per scelta legata a fattori di natura geologica, la zona del Carema, che dista oltre 50 chilometri in linea d’aria da Gattinara (e 65 di strada), e solo 4 da Donnas. Tratteremo perciò delle sette denominazioni classiche poste a cavallo tra le province di Novara, Vercelli e Biella: le DOC Fara, Sizzano, Boca, Bramaterra e Lessona e le DOCG Gattinara e Ghemme.

L’uva

Tutte le denominazioni appena citate hanno una base ampelografica comune nell’uva Nebbiolo, localmente reperibile quasi solo nel biotipo detto “Spanna”.
Il Nebbiolo Spanna, come il Lampia e il Michet langaroli (presenti anche in Alto Piemonte, peraltro), la Chiavennasca valtellinese, il Picoutener valdostano e il Prunent ossolano, è vitigno dalle caratteristiche veramente singolari, che ne fanno forse il più grande autoctono italiano a bacca rossa per la produzione di vini atti al grande invecchiamento e alla proposizione della più evidente complessità aromatica lungo l’arco della loro evoluzione. Il suo ciclo vegetativo è infatti tra i più lunghi che si conoscano in Italia, partendo da una fioritura e da un germogliamento precoci, rispettivamente ad inizio aprile e ad inizio giugno, e caratterizzandosi per una vendemmia in genere tardiva, localmente molto tardiva (in Valtellina non è infrequente la raccolta novembrina). L’acino è alla fine medio-piccolo, ellissoidale, con buccia consistente e coriacea, molto ricca di pruina e di colore blu nerastro. E’ una pianta dalla vigoria naturalmente elevata, tuttavia infezioni e malattie possono a seconda della stagione limitarne la produzione in maniera sensibile. Il Nebbiolo ha inoltre la bizzarra caratteristica di presentare gemme basali (in genere le prime due) infertili o quasi, cosicché si inizia a contare gemme “utili” a partire dalla terza, con conseguente, forzata potatura “lunga”. Si trova bene con i portainnesti più diffusi; nelle Langhe la quasi totalità delle vigne a Nebbiolo sono innestate su 420A, Kober 5BB o SO4; in Alto Piemonte (così come nel Montello, nei Colli Asolani, nelle Colline del Prosecco di Valdobbiadene e Conegliano), il pH acido dei terreni comporta il rischio di assorbimento di metalli pesanti (Mn, Al, Cu) con danni all'apparato radicale e alle foglie. La scelta del portainnesto può essere decisiva per assicurare al vigneto una buona salute, ed ecco allora comparirne altri oltre a quelli citati, come il 3309 Couderc, il 110 Richter e il 161-49. Non hanno dato buoni risultati le prove effettuate con il 140 Ru, dalla eccezionale adattabilità ai terreni acidi ma che induce il Nebbiolo alla costruzione di un’autentica selva di foglie e vegetazione. Il Nebbiolo ha infine il suo nemico giurato nell’oidio ma teme due ulteriori avversari: le gelate primaverili, che arrivano quando la pianta ha già germogliato, e la muffa grigia, che può colpire il grappolo approfittando della sua compattezza, e della conseguente scarsa aerazione al suo interno.


Il territorio

La specificità più avvincente dell’intero territorio è senza dubbio data dalle differenze nell’origine e nella struttura dei terreni. Si tratta ovunque di materiale a reazione nettamente acida, con pH che dal 4,1 medio di Gattinara toccano il 2,85 a Boca; è un valore inferiore a quello dell’aceto. La pietra madre, durissima, ha matrici diverse a seconda della zona. […].
Nella sola zona oggetto dei tre disciplinari di produzione Gattinara, Bramaterra e Lessona, si individuano almeno dodici tipologie di terreno differenti, con presenza di porfidi, quarziferi e non, tufi, scisti cristallini, conglomerati, quarziti, calcari dolomitici, arenacei e marnosi, arenarie, vulcaniti e graniti; il territorio di Lessona e parte di quello del Bramaterra aggiungono alla lista inserzioni di sabbie e piattaforme silicee. Tale incredibile varietà, sommata alla naturale capacità del Nebbiolo e delle altre uve locali di “leggere” il terroir in maniera sorprendente, nonché alle ulteriori differenze di giacitura, esposizione ai venti e altitudine, regala una materia prima che nelle mani di vinificatori attenti e sensibili può trasformarsi in una “cartolina” dal territorio di provenienza; un’immagine di luminosità e nitidezza in qualche caso davvero toccante.

Le denominazioni

A fare da confine naturale tra le provincie di Vercelli e Novara è il fiume Sesia, sesto affluente del Po per importanza, e che ha natura spiccatamente torrentizia; in alcuni tratti, e nel periodo invernale, ha una portata d’acqua piuttosto importante, ed è soggetto a rovinose alluvioni (purtroppo verificatesi nel 1994 e nel 2000, di recente); d’estate, vive talvolta momenti di secca quasi totale, anche perché la zona, con le estese risaie che la contraddistinguono, ne utilizza in modo massiccio l’acqua per l’irrigazione.
A ovest della Sesia, 25 km circa a nordovest di Novara, ecco Ghemme; un piccolo paese sede di una denominazione di origine tradizionale, elevata a DOCG nel 1997 e, curiosamente, a partire dalla vendemmia 1996 (con effetto, dunque, retroattivo). Il disciplinare del Ghemme lo prevede anche come Nebbiolo in purezza; la percentuale minima di Spanna dev’essere del 75% e il saldo in percentuale libera tra Vespolina (largamente preferita) e Uva Rara (in via di rapido abbandono). Una strada provinciale, la 299 della Valsesia, attraversa l’abitato di Ghemme; praticamente senza soluzione di continuità, procedendo in direzione sudest verso Novara, si incontra immediatamente il silenzioso abitato di Sizzano, crocicchio di 1.400 anime anche lui con la sua brava (e storica) DOC. La quale, concessa nel 1969, è oggi assecondata da meno di 15 ettari di vigneto; il dato inspiegabile è che il disciplinare del Sizzano, adiacente al Ghemme per ubicazione dei vigneti, prevede una percentuale di Nebbiolo dal 40% al 60% e di Vespolina dal 15% (e dunque la sua presenza è obbligatoria) al 40%. L’eventuale saldo può essere solo di Uva Rara. La più meridionale delle DOC di questa zona è quella incentrata nel comune di Fara Novarese, che le dà il nome. Anche in questo caso la percentuale stabilita per legge lascia attoniti: quella farese è la sola denominazione comunale dell’intero Alto Piemonte a poter vedere in preponderanza l’Uva Rara (massimo 40%) sul Nebbiolo (dal 30% al 50%) e la Vespolina (10-30%). Le vigne del Fara, il cui areale di produzione comprende anche il limitrofo comune di Briona, occupano attualmente una superficie di circa 18 ettari, con confortante tendenza all’aumento. Sempre sulla sinistra orografica della Sesia, ma diversi chilometri più a Nord e isolata dalle tre citate, si trova la DOC Boca, che coinvolge l’intero comune omonimo più, limitatamente alle zone di accertata vocazione, quelli di Maggiora, Prato Sesia, Grignasco e Cavallirio, tutti in provincia di Novara. Il territorio di questa denominazione è senza dubbio il più fresco dell’Alto Piemonte, e salvo rare eccezioni le sue vigne sono mediamente quelle con la maggiore altitudine; il porfido del terreno è color rosa netto brillante. L’areale del Boca è praticamente inglobato nella Riserva Naturale del Monte Fenèra, che staglia precisamente sulla direttrice del Monte Rosa, dalle cui correnti fredde protegge i circa 15 ettari delle vigne del Boca. Il vino è un Nebbiolo in percentuale variabile tra il 45% e il 70%, con saldo di Vespolina (20-40%) e, facoltativamente, Uva Rara (0-20%). […]
Sono tre invece le denominazioni “classiche” poste a est della Sesia, ma anziché essere disposte secondo l’asse del fiume (Nord-Sud) esse si allontanano progressivamente verso occidente a partire dal suo alveo, che lambisce la più importante in assoluto: Gattinara. Qui, l’area vitata è di gran lunga la più estesa dell’Alto Piemonte (102 ettari), e il disciplinare DOCG data al 1990. Sotto il profilo geologico, l’area è la prosecuzione verso ovest dello stesso enorme blocco di roccia porfirica rinvenibile a Boca. Dal punto di vista qualitativo, è difficile negare la supremazia del Gattinara sulle altre DOC della zona. I vini sono austeri, autorevoli e profondi, con un tipico tratto ferroso o rugginoso che li rende inconfondibili; la loro longevità può risultare sorprendente. A Gattinara può utilmente essere studiata la differenza espressiva da un cru all’altro, e del resto la tradizione che vuole il vigneto d’origine riportato in etichetta è qui piuttosto risalente. Così, per l’appassionato che cerca dimestichezza con questi rossi, diventa possibile distinguere anche “alla cieca” un Gattinara “Osso San Grato” da un “Castelle”, un “Molsino” o un “San Francesco” da un “Valferana”, e via dicendo. Il Nebbiolo la fa da padrone in vigna come nel testo della DOCG: il Gattinara può prevederlo in purezza, e in effetti l’eventuale saldo (10%) può arrivare da uve Vespolina o Bonarda. Procedendo in direzione di Biella, e lasciata Gattinara, si entra nell’ampio areale del Bramaterra, l’unica delle sette denominazioni classiche dell’Alto Piemonte a non prender nome da un comune. La superficie iscritta all’Albo Vigneti è di circa 32 ettari, ma in teoria il “vigneto” del Bramaterra (istituito come DOC nel 1979) potrebbe allargarsi parecchio, contando sulle superfici di ben sette comuni, in provincia di Vercelli e Biella (Brusnengo, Curino, Lozzolo, Masserano, Roasio, Sostegno e Villa del Bosco). Il Bramaterra è Nebbiolo per il 50-70%, Croatina (20-30%), Bonarda e Vespolina, per un totale massimo congiunto del 20%. Chiude la sequenza di piccole denominazioni quella di Lessona, comune che dal 1992 è passato dalla provincia di Vercelli a quella di Biella. La superficie vitata sfiora i 10 ettari, e dunque si tratta della più piccola delle DOC dell’Alto Piemonte; la qualità della ancora minuscola produzione è peraltro assai alta. Il Lessona è Nebbiolo per almeno il 75%; il saldo, facoltativo, è composto in parti libere da Vespolina e Bonarda, a ratificare la situazione di fatto presente nelle vigne vecchie, in cui la coltura delle diverse varietà è sempre stata promiscua.
a
Armando Castagno


La Degustazione

Alcune considerazioni prima di iniziare: tutti i vini, seppure alcuni in annate giudicate difficili, hanno mostrato una bellezza leggiadra. Digeribilità, bevibilità, equilibrio, armonia, hanno trovato in questi calici perfetta definizione.
Acidità e sapidità ne caratterizzavano la struttura, con nostro sommo piacere.

Bramaterra 2002, Anzivino (60% Nebbiolo; 10% Uva rara, 30% Croatina)
Di fascinose trasparenze e rubino tono, il primo naso è caldo, disponibile, di nebbiolesca intonazione. Floreale quel che basta, arricchito da sentori di china e rabarbaro, giusto un pizzico di chiodi di garofano, sfuma leggermente in echi balsamici e rimandi di cenere e fumo. Al palato è snello, preciso, fluido, di facile bevibilità; l’annata non grande ne determina la persistenza finale di media lunghezza che lascia al palato una sensazione di immensa sapidità.

Lessona Omaggio a Quintino Sella 2003, Aziende agricole Sella (Nebbiolo 80%, Vespolina 20%)
Si tratta di una sorta di riserva prodotta solo in due annate: oltre questa, la ’99. Un'unica botte del Lessona San Sebastiano allo Zoppo che continua il proprio affinamento per un altro anno prima di essere commercializzato. Il tono rubino più cupo rispetto al precedente ci ricorda l’annata calda, difficile. Al naso urla la propria provenienza, Lessona com’è: note di radici e di mineralità ferrosa. Continua a raccontare liquirizia, pepe nero, scorze d’arancia rossa, creme brulè, leggermente carrubo e canfora. Al palato è largo, prende possesso del cavo orale con baldanzosa sicurezza: ottima acidità, ottima sapidità, il ritorno asciutto ci riporta a sensazioni floreali e di radici. Solo il tannino leggermente ruvido ci ricorda del 2003: splendida interpretazione di un’annata che ha mietuto celebri e rinomate vittime tra i vini italiani.

Gattinara Osso San Grato 2004, Antoniolo (Nebbiolo 100%)
Fanciullesco, la sua bellezza è sussurrata, da noi intuita: si farà. Rilascerà i suoi profumi e aromi pian piano, lentamente nel tempo. Ecco, si presenta come se fosse compresso, ma in un equilibrio incantevole: ruggine e sangue, dapprima, poi frutti rossi, rosa, cenere, acqua di rose, un sentore di tè, di carcadè. Al palato la struttura, la massa è di impressionante imponenza. Grande equilibrio in cui l’alcol, l’acidità, la sapidità creano una struttura perfetta, dove solo il tannino, di pregevole tessitura, non è ancor domo ma leggermente astringente. Lunghissima persistenza che ci riporta sulle sensazioni di frutta. Meraviglioso.

Boca 2004, Le Piane (85% Nebbiolo, 15 % Vespolina)
di bellezza estatica, immediata, cristallizzata. Subito arancia sanguinella, pepe nero appena macinato, spezie, una nota di cera, una leggere nuance di resina, poi ancora pompelmo, fiori, erbe officinali, menta piperita. Al palato è un’ode alla bevibilità, tannino leggiadro, acidità citrina che lascia al palato sensazioni di pompelmo e lime. Ottima lunghezza. Riporta alla mente insieme al Lessona di Sella, seppure in maniera diversa, vaghe rimembranze borgognone.
Confesso: una seconda bottiglia ha accompagnato una variazione di pizze partenopee finendo in men che non si dica. Stupefacente.

Fara Vecchie Vigne 2004, Dessilani (Nebbiolo 80%, Vespolina 20%)
di grande struttura e corpo, ampio, soffice, a maglie larghe. Il primo naso è caldo, l’alcol veicola i profumi di gelatina di ciliegia e geranio, i toni affumicati, quasi torbati di un buon whisky scozzese fanno da contorno, poi polvere di caffè e sensazioni balsamiche che si fanno più evidenti che negli altri bicchieri. Al palato è di gran corpo e di buon equilibrio, molto sapido, ha solo un leggero ritorno di alcol nel finale.

Ghemme Collis Breclemae 1996 Antichi Vigneti di Cantalupo (Nebbiolo)
una nota di riduzione ne pregiudica inizialmente il naso, ma con l’ossigenazione verrà fuori tutta la sua particolarità: erbe officinali e sangue, note empiremautiche, carne arrostita e note selvatiche, una nota d’arancia, poi, inaspettatamente, salmastro, capperi, olive. Al palato ha grande eleganza: chiude come tutti gli altri, lasciando tanta sapidità, come se avessimo ciucciato dei sassi.


Si ringrazia per la gentile disponibilità Nicola Lucca Dessilani, Lorella Antoniolo, Emanuele Anzivino, Gioacchino Sella, Christoph Kunzli dell’azienda Le Piane e Alberto Arlunno dell’azienda Antichi vigneti di Cantalupo.

Si ringrazia L’Associazione Italiana Sommeliers Napoli

Nota: Le foto dei luoghi sono di Armando Castagno, quelle della serata di Adele Chiagano (per una migliore resa delle immagini, cliccateci sopra)

posted by Mauro Erro @ 13:23, ,


Tempi moderni



Non puoi evocare un odore, né tantomeno un sapore. Puoi avvertire un senso di disgusto o di piacevolezza collegato a loro ricordo, ma l’odore, o il sapore di cui ti stai ricordando, quello no, non lo puoi riprovare. Puoi invocare un suono, come faceva Beethoven, riprovare, forse con minore intensità, la sensazione di dolore per una perdita avvenuta attraverso la memoria, ma il sapore di una ciliegia no.
È come se gli odori e i sapori che noi conosciamo, li conservassimo immagazzinandoli in una parte remota del cervello non potendoli mai prelevare.
Gli odori e i sapori esistono sempre al presente. Sono, non erano e neanche saranno. Il passato e il futuro sono tempi che non esistono nel caso specifico, anche se forse non esistono in generale. Sono solo tempi persi. Ogni odore ed ogni sapore per quanto effimeri, fugaci, per quanto veloci attimi che scorrono via, sono adesso. Ti svegliano dal torpore in cui ti hanno immerso per dirti che è qui, è ora, la tua vita.


Tette finte.
Culi finti.
Labbra finte, wonderbra, push-up.
Abbracci finti, sorrisi finti, strette di mano e pacche sulle spalle, finti.
Facebook.
Surrogato.
Internet, illusione.
Governi paralleli, mutui subprime, salotti buoni, poteri forti.
Consumare, vendere, consumare, vendere.
Sottilette Kraft.
L’altro giorno leggevo del ragioniere Destasio che, una mattina qualunque di un giorno qualunque della sua vita qualunque, è entrato nel suo ufficio armato di mitraglietta uzi uccidendo il suo capoufficio e tre suoi colleghi, per poi spararsi un colpo alla testa mentre si gettava dal balcone gridando “geronimoooo”.
La moglie ha dichiarato che il marito la sera prima era tornato a casa leggermente nervoso e che, durante la cena, ad un certo punto, nel momento di patos maggiore, quando Pupo dalla televisione stava per annunciare se nel pacco numero 3 c’era un phone o 10.000 euro, si è tolto gli occhiali poggiandoli sul tavolo, si è allentato il nodo della cravatta, slacciato leggermente i pantaloni ed alzandosi ha gridato: “IO AL CAPOUFFICIO MANZO GLI FICCO UN BASTONE SU PER IL CULO!”
Marta e Filippo, i due piccoli di 5 e 7 anni, che già soffrivano, poverini, di inappetenza da stress, hanno iniziato a piangere.
La Signora Destasio non ha saputo cosa ci fosse nel pacco numero 3.
Rammaricandosene particolarmente.
Alcuni vicini hanno dichiarato: “Sembrava un uomo normale, aveva una vita normale, molto a modo; non lo incontravamo spesso, qualche volta nell’ascensore, come si va?, ha iniziato a far freddo, solite cose”.
Altri, invece, hanno dichiarato: “Ma perché, abitava nel nostro condominio?”
Pupo, le veline e i pacchi.
Contropaccotto, Nanni Loy.
Mc Donald’s, hamburger, mucca pazza, diossina, la pecora dolly.
L’altro giorno passo ad un incrocio e vedo due macchine ferme proprio al centro e due tizi che pestano a sangue uno riverso sull’asfalto.
Pare gli avesse tagliato la strada.
Duecento metri più avanti sono fermo al semaforo rosso.
Mi affianca una macchina e vedo di là del finestrino il guidatore gridare. O almeno così pare, io ho il finestrino chiuso e la musica ad alto volume e vedo che batte la bocca in maniera feroce, gli si contraggono i muscoli facciali, inveisce, i denti s’aguzzano, gli pende della saliva dal labbro inferiore.
Di fianco ha un pitbull seduto dal lato passeggero. Ha abbassato le orecchie e nascosto parzialmente il muso dietro lo sportello.
Era scattato il verde.
Incazzati. Tolleranti. Irascibili. Politically correct.
Persona anziana minaccia cassiera di un supermercato con bottiglia maxi di conserva di pomodoro.
Sembrava una normale giornata di compere, ieri al supermercato Despar di Borgo Sant’Eustachio, quando alle 18:30 del pomeriggio si è scatenato l’inferno, e quell’inferno si chiamava Eleonora Mutti. L’anziana signora 82enne, dopo aver spintonato con il proprio carrello della spesa numerosi clienti in fila al banco dei salumi, aver inveito contro un cliente che si era preso l’ultima busta di piselli verdi Findus, ha preso in ostaggio la cassiera minacciandola con una bottiglia da 1 litro di conserva di pomodoro. La cassiera pare non le avesse riconosciuto un 3 per 2 di promozione sulle scatole dei Fagioli Batàsia, i più buoni che ci sia, e non le avesse accreditato due punti fedeltà sulla tessera soci Despar.
La signora Mutti immobilizzata dagli agenti di pubblica sicurezza ha dichiarato: “La lotta è dura, ma non mi fermeranno. Sarò sempre pronta a difendere i diritti non riconosciuti degli anziani soci Despar”. Interrogata nel merito di eventuali prossime azioni, l’anziana 82enne ha così risposto: “Organizzerò un sit-in di protesta davanti al banco frutta: quando è di turno Mario, i pomodori pachino in confezione non rispettano il peso dichiarato: ne mancano sempre un paio”.
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Speranza, super-enalotto, lotto, totocalcio, snai, scommesse, Berlusconi.
Un amico psicoanalista mi racconta la storia di G., donna di 35 anni, che si reca da lui dichiarando: “non sono una brava mamma!”.
La signora evidenzia grossi turbamenti e i principi di una depressione bipolare con evidenti manifestazioni di natura schizofrenica.
L’atto scatenante è avvenuto una mattina quando il piccolo A, primogenito di tre anni le ha chiesto: “Mamma di che colore è la terra?”
“Marrone.”
“Marrone come?”
Guardandosi intorno e non vedendo altro che chilometri d’asfalto, la donna ha avuto un attacco di panico.
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Nota: l'immagine è di Tommaso Medugno

posted by Mauro Erro @ 11:23, ,


Confessioni di un giovane bevitore


Se fossi sincero, la smetterei.
Se fossi sincero, direi a me stesso che la mia socratica e perenne ricerca tra molecole, polifenoli, piogge, terreni è minata dalla speranza che il mistero non mi venga mai svelato. Se fossi sincero griderei che più so e più capisco di non sapere. Se fossi sincero abolirei la definizione “capirne di vino”. Se fossi sincero cancellerei il termine degustatore e abbraccerei i bevitori tutti. Se fossi sincero brucerei le schede di degustazione, e m’incamminerei per terre e luoghi e racconterei le storie degli uomini e delle donne. Se fossi sincero vomiterei improperi sulle veline e i nani e le paillettes, sulle fiere e sui brick. Se fossi sincero manderei a cagare le mode, lo status symbol, gli intenditori e i collezionisti perche il vino è un alimento, si porta a tavola e si beve, punto. Se fossi sincero spenderei meno soldi. Se fossi sincero allora parlerei solo di digeribilità, di naturalezza, di onestà, se fossi sincero direi che certi vini non dovrebbero neanche esistere. Se fossi sincero me ne fregherebbe dell’annata storta o del vino non pulitissimo. Se fossi sincero certi “trattamenti”, non chimici ma fisici li farei a chi so io. Se fossi sincero mi occuperei di letteratura e non di matematica, di cultura e non di mercato.
Se fossi sincero, dunque, mi siederei a tavola, mi berrei il vino e parlerei di altro e vorrei sentire l’umore dell’Arborina ’98 di Altare, la terragna compostezza del Bartolo Mascarello 2004, la profondità di quel vino trasparente di Borgogna che produce Nicolas Rossignol e l’eleganza di quel syrah del Rodano di Domaine Pichon.
Ne vorrei una coppa di ciascuno e poi un’altra ancora ed un’altra fin quando ubriaco non mi metta ad urlare l’inno alla gioia per poi fare all’amore.
Ed il giorno dopo inizierei daccapo.

P.S. Se fossi sincero, il prossimo che mi chiama maestro o degustatore lo prendo a calci nel culo.

Nota: per sapere di più dei vini citati cliccateci su: le note di degustazione sono a cura di quella “recchia” di Fabio Cimmino, quello ritratto in foto che m’abbraccia.

Jethro Tull- Locomotive Breath

posted by Mauro Erro @ 14:07, ,


Vino vino vino: la carta dei sentimenti.

Un insieme di individualità, un atto di resistenza, una possibilità, una speranza. Vini Veri era questo, quando Baldo cercava di spiegare i sentimenti che animavano il gruppetto di “anarcoidi naturalisti” dal quale era nato il progetto. Dopo qualche vicissitudine - a quanto pare quasi inevitabile tra persone che hanno una visione delle cose simile alla nostra - e con un po’ di esperienza in più abbiamo deciso di tornare a perseguire la stessa etica al di là delle differenze che ci caratterizzano. La testimonianza della vitalità del vino non può essere limitata al confronto tra naturale, biologico e biodinamico; le scelte che abbiamo compiuto, tutti indistintamente, sono nate dal rispetto per il territorio, per le relazioni umane, per noi stessi. Sono frutto di un rapporto viscerale con la terra, sono sentimento prima ancora che formazione. Sono ciò che ci accomuna. Ci ritroviamo quest’anno a Villa Boschi, ben oltre le logiche commerciali connesse a una manifestazione che conserva comunque i connotati della “fiera”; torniamo insieme, a prescindere dalle certificazioni e dalle scelte tecniche, ma soprattutto con la coscienza di avere delle responsabilità e di doverle affrontare insieme. Come viticoltori e, più in generale, come contadini.Il vino è da sempre il modo di esprimersi di un territorio e di una cultura. Ma è alle prese con i molti problemi celati dietro la facciata del successo mediatico: i contenuti dei quali è stato caricato sono tali da averlo distanziato dalla terra. E’ nostro compito restituire al vino questo legame, con buona pace di quell’enologia globalizzata che ci vede come ingombri lungo il suo cammino in direzione dello svilimento delle varietà. Dobbiamo farlo per tentare di ridare, attraverso il nostro prodotto, dignità al termine “agricoltura”. La viticoltura ha beneficiato, per una serie di circostanze, di privilegi e opportunità negate al resto dell’universo agricolo: per questo ci sentiamo in dovere di fare in qualche modo da “traino”, sfruttando la forza comunicativa del vino. E’ una responsabilità che avvertiamo di più in questo periodo caratterizzato da una crisi - morale prima ancora che economica - di fronte alla quale il mondo contadino è chiamato a fornire modelli e soluzioni alternative.La centralità dei rapporti umani, la difesa delle diversità culturali e delle identità territoriali, la possibilità di un consumo più consapevole e sostenibile, la tutela dell’ambiente sono questioni alle quali è indispensabile fornire risposte. Da parte nostra non intendiamo eludere questa responsabilità: Vino, Vino, Vino vuole essere una di queste risposte.Per affrontare certi grandi temi, lo abbiamo capito, si deve imparare a camminare insieme e a trasmettere l’un l’altro i rispettivi bagagli di conoscenze. Con la comune convinzione che anche atti come lavorare in un certo modo la propria vigna o vendere in un certo modo una bottiglia di vino siano azioni che possono contribuire a rendere il mondo migliore. Non possiamo fare altrimenti: perché la nostra ricchezza continua a risiedere - adesso più che mai - in quanto saremo capaci di lasciare.

Gruppo Vini Veri e La Renaissance du Terroir
Testo a cura di Marco Arturi

posted by Mauro Erro @ 17:46, ,


Emanuele Rolfo

Figlio di Francesco e Amalia, che la fondarono nel 1979, Emanuele Rolfo, enologo, è colui che gestisce questa azienda ubicata nel comune di Montà d'Alba, il più a nord della provincia di Cuneo, nel cuore del Roero in Piemonte. Ho avuto modo di saggiare i suoi vini in due diverse occasioni recentemente e di farmene, in considerazione anche dei costi molto accessibili e corretti, una buona opinione.
Innanzitutto l’impressione che ho avuto dall’assaggio dei vini e dal materiale mandatomi da Emanuele è quella di un viticoltura consapevole, interventista laddove necessario, ma gentile, una viticoltura in cui si pratica l’inerbimento dell’interfilare in vigna, ad esempio, e i trattamenti si effettuano solo ad infezione parassitaria avvenuta. Ma torniamo agli assaggi.
Il Roero arneis 2007 la cui vendemmia ha preso inizio il 2 settembre, si presenta nel calice giallo paglierino limpido e brillante: è il primo della batteria, il meno impegnativo nel costo ed il più semplice nella beva.. Al naso spazia dalla frutta di pera alle sensazioni di fiori bianchi, attraversate da ricordi agrumati. Al palato la beva è semplice, pulita, sostenuta da una buona acidità e chiusa con un interessante ricordo sapido: insomma un’interpretazione corretta per un vino che in enoteca dovrebbe costare tra i sette e gli otto euro.
Il Menelic 2006, è una versione di arneis già più impegnativa che vede dopo la fermentazione il passaggio in legno per 4/5 mesi. Un legno ben integrato che si avverte solo all’inizio quando lo stappiamo per alcune note di bruciacchiato, sentori che andranno subito via dopo aver roteato per bene il bicchiere e fatto ossigenare il vino. Al naso è più intenso che complesso, si esibisce nella frutta di ananas e pera, note di pompelmo, uno sbuffo di alcol, note di spezie dolci e di frutta secca e un leggero ricordo balsamico. Al palato abbisogna forse di equilibrarsi ancora, si avverte leggermente la nota legnosa che porta ad una chiusura leggermente amara che fa pendant, però, con un’ottima sapidità prima della scodata dell’alcol che ritorna. Ed infine il vino che più mi è piaciuto: il Roero 2005 da uve nebbiolo affinato in botti da 25 ettolitri per 12 mesi. Di colore rosso rubino dalle belle trasparenze, degradava nell’unghia tinta di granato. Al naso subito frutta sotto spirito con una nota di lampone in bella evidenza, qualche sfumatura floreale che riportava la mente al geranio, una leggera speziatura, una nota di liquirizia e pepe che, lasciando il vino nel bicchiere per un po’, sfumava in sentori di cenere, catrame e polvere di caffè. Al palato ancora il lampone a guidare il vino che si dispiegava bene, con una buona acidità, un’ottima trama tannica ancorché astringente ma fine. Come nel caso precedente, una piccola scodata dell’alcol guastava leggermente il finale.
In breve e concludendo, anche nel caso di quest’ultimi due vini che pagherete non più di 10 euro in una buona enoteca, vi troverete davanti a dei prodotti ben eseguiti, puliti e che si fanno bere.

Jethro Tull - Bourée

posted by Mauro Erro @ 12:24, ,






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